In piena epoca di "cinema italiano della liberazione", De Santis gira un film duro e crudo che solo apparentemente si può iscrivere nella corrente del neorealismo.
Se infatti molti degli espedienti narrativi utilizzati sono tipici dei film di quel filone, troppi sono gli elementi che se ne discostano. Riso Amaro è più un noir macchiato di neorealismo, un'opera a metà tra quello che faceva Germi in quel momento e quello che facevano tutti gli altri.
Innanzitutto l'argomento (un colpo organizzato a seguito di uno fallito) e poi la trama (troppo di genere ed elaborata nei suoi intrecci per essere neorealista) fanno intuire la direzione che prende De Santis, il quale fa l'ottima scelta di avvalersi degli elementi neorealisti solo se e quando gli soo funzionali, di modo da non rimanerne imbrigliato.
La componente sociale è tenuta solo di sfondo (come accadrà per le commedie all'italiana che arriveranno di lì a poco) ed in primo piano non ci sono le classiche figure neorealiste che si battono contro un sistema che li vessa incapaci di trovare aiuto nei propri simili, ma una forte comunità, compatta, organizzata e attraversata da sentimenti ed emozioni forti e permeanti.
Non c'è il rigore di Rossellini o l'infinità pietà di De Sica, non ci sono i pedinamenti zavattiniani nè il crudo documentarismo di Visconti.
Eppure è la quintessenza del cinema italiano Riso Amaro, tutto giocato com'è sui registri del melodramma ma tenuto in un forte equilibrio documentarista, molto legato al territorio e alla realtà dei fatti (in questo caso il mondo delle mondine) ma capace comunque di dare vita ad una trama classica fatta di personaggi archetipi (il ladro Gassman, capace di traviare con promesse di ricchezza e passione la più volubile Silvana Mangano).
Una prova di rara flessibilità da parte del nostro cinema che invece ha solitamente il difetto di cristallizzarsi all'interno di determinate tendenze.
Se infatti molti degli espedienti narrativi utilizzati sono tipici dei film di quel filone, troppi sono gli elementi che se ne discostano. Riso Amaro è più un noir macchiato di neorealismo, un'opera a metà tra quello che faceva Germi in quel momento e quello che facevano tutti gli altri.
Innanzitutto l'argomento (un colpo organizzato a seguito di uno fallito) e poi la trama (troppo di genere ed elaborata nei suoi intrecci per essere neorealista) fanno intuire la direzione che prende De Santis, il quale fa l'ottima scelta di avvalersi degli elementi neorealisti solo se e quando gli soo funzionali, di modo da non rimanerne imbrigliato.
La componente sociale è tenuta solo di sfondo (come accadrà per le commedie all'italiana che arriveranno di lì a poco) ed in primo piano non ci sono le classiche figure neorealiste che si battono contro un sistema che li vessa incapaci di trovare aiuto nei propri simili, ma una forte comunità, compatta, organizzata e attraversata da sentimenti ed emozioni forti e permeanti.
Non c'è il rigore di Rossellini o l'infinità pietà di De Sica, non ci sono i pedinamenti zavattiniani nè il crudo documentarismo di Visconti.
Eppure è la quintessenza del cinema italiano Riso Amaro, tutto giocato com'è sui registri del melodramma ma tenuto in un forte equilibrio documentarista, molto legato al territorio e alla realtà dei fatti (in questo caso il mondo delle mondine) ma capace comunque di dare vita ad una trama classica fatta di personaggi archetipi (il ladro Gassman, capace di traviare con promesse di ricchezza e passione la più volubile Silvana Mangano).
Una prova di rara flessibilità da parte del nostro cinema che invece ha solitamente il difetto di cristallizzarsi all'interno di determinate tendenze.
"Biglietto amaro". Ma io il biglietto l'avevo comprato.
RispondiEliminaCome si chiama lei?
Ayeye
Di cognome?
Brazo
E come si scrive?
RispondiEliminaA... I come lunga e yeye si ripete
Bellissimo film di De Santis. Raf Vallone e Vittorio Gassman sono fantastici. Film molto bello.
RispondiElimina