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15.10.10

Scott Pilgrim vs. the World (id., 2010)
di Edgar Wright

POSTATO SU
Stavolta Edgar Wright parte da un soggetto non originale e non parodia nulla. Scott Pilgrim è una serie a fumetti uscita a partire dal 2004 che racconta di un 23enne ed è realizzata da un 25enne. E questo è forse l'unico problema per il botteghino (andato male).
Appare infatti subito evidente che questo film postadolescenziale, centrato su una formazione avvenuta in ritardo, faccia un miscuglio di pubblici diversi. Racconta ai postadolescenti di ora una storia che parla alla loro fascia d'età ma facendo riferimento all'universo culturale di chi oggi ha quasi 30 anni.
Sei anni nel mondo dell'indie rock e dei videogiochi sono almeno una generazione, un lasso di tempo sufficiente a far sì che si passi dai videogiochi 8bit a quelli più evoluti e che si superi l'apice di diffusione del rock indipendente.

Problemi commerciali a parte Scott Pilgrim vs. The World è un film che parla al suo pubblico in maniera diretta, sentimentale e sincera come pochi altri, un vero trionfo di idee e soprattutto, nonostante i continui riferimenti videoludici, un film che fa fare un passo in avanti alla mescolanza di linguaggi tra cinema e fumetto. Se infatti l'indie rock e i videogiochi sono soltanto "riferimenti", cioè inside jokes, espedienti per battute e, in sostanza, una patina buona per attirare o divertire (alzate la mano se vi scalda il cuore l'uso del tema della caverna delle fate di Zelda nel momento introspettivo), il rapporto che il film stringe con la forma fumettistica è decisamente più intimo e profondo.
Il montaggio secco e "strappato" che Wright ha già messo in pratica selvaggiamente qui si irregimenta, diventa prassi e un modo di operare delle ellissi spaziotemporali che ricordano quelle che accadono tra un riquadro e l'altro di una tavola a fumetti.

Più ancora dell'esplicito ricalco che aveva fatto Ang Lee con Hulk, Wright utilizza lo specifico filmico (il montaggio) per raggiungere lo specifico della narrazione a fumetti, capisce cioè che ciò che separa le due forme di racconto, alla fine, è come accostino diversi momenti, fasi, sequenze o immagini. E Scott Pilgrim cerca proprio di colmare questo gap.
A lavorare di cesello e dare vera personalità al film non sono tanto le onomatopee in sovraimpressione o le pose plastiche che spesso i personaggi assumono ma proprio gli stacchi repentini tra momenti differenti, uniti solo dall'avere la medesima composizione dell'immagine.

Meriti formali a parte un'altra freccia all'arco di Scott Pilgrim, che i nostri cineasti e produttori non vogliono assolutamente fare propria, è il modo in cui prenda di mira prima di tutto i suoi protagonisti e il suo pubblico. Nel raccontare la classica storia di formazione personale attraverso un percorso di caduta e rinascita sentimentale, Scott incarna una tipologia umana (per l'appunto indie rock, autointrospezione, videogiochi e nichilismo alla buona) e si contrappone ad altre (vegani, vanesi, palestrati, ultrasocial, vincenti in genere ecc. ecc.). Ma invece che assolvere se stessi e prendere in giro gli altri (che sarebbe anche facile) il film mira dritto alle idiosincrasie e alle stupidità del mondo che rappresenta, fa cioè prima di tutto un lavoro serio e non indulgente su se stesso e il proprio pubblico. Non lo carezza ma ne rende espliciti i problemi.

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