Si potrebbe raccontare tutta la storia del cinema da Griffith a oggi seguendo la sola chiave di lettura dei film ruffiani. Come in diverse annate, diversi periodi e con diversi stili il sistema cinema abbia prodotto interi filoni di film ruffiani, fatti per accarezzare il gusto del pubblico e farli sentire migliori regalando solo l'illusione di quel che promette e mai "the real thing".
Italy love it o leave it è il perfetto esempio del ruffiano moderno. Se in Italia non abbiamo mai avuto una scena indipendente in stile Sundance (il ruffiano americano), Gustav Hofer e Luca Ragazzi, già con Improvvisamente l'inverno scorso, incarnano alla perfezione quell'idea. Si tratta di due documentaristi che lavorano con mezzi leggeri ma di ottima qualità (specialmente Italy love it or leave it ha una fotografia mai ricercata ma sempre brillante e d'effetto) e scelgono con accuratezza temi e punti di vista, andando ad incarnare (volutamente o meno, non importa) il pensiero generale nella sua forma più compiuta, sempre su temi d'attualità stretta ma mai con l'afflato della riflessione, sempre dalla parte della scontata ovvietà (Napoli era meglio prima, la fabbrica ti costringe a ritmi inumani, Berlusconi ci mette in ridicolo, le realtà migliori d'Italia chiudono) mai da quella della comprensione della complessità dei fenomeni.
Se per il documentario precedente il tema erano i DICO ora è la fuga dall'Italia, ovviamente non intesa come emigrazione ma come fuga da un posto dove le brave persone non possono emergere, dove la meritocrazia è schiacciata e tutto quel campionario di problemi ben noti.
Il documentario mette in scena il viaggio nella penisola dei due, uno intenzionato ad andarsene e uno intenzionato a rimanere (una messa in scena delle motivazioni pro e contro totalmente pretestuosa, poichè anche chi è contro la fuga spesso si dichiara privo d'argomenti), viaggio alla scoperta dei disastri e delle bellezze con una spiccata predilezione per i primi. Viaggio fatto in una 500 vecchio modello (perchè noi ci identifichiamo con l'Italia di una volta, quella migliore, quella dei ricordi).
Con la pretesa di esaustività (spesso ripetono "vedi è tutto così") vengono raccontati i principali fatti di cronaca, inevitabilmente superati ad un anno e più dalle riprese, senza mai guardare al di là del proprio naso, senza cercare una lettura della problematica ma fermandosi alle sole dirette conseguenze. Italy love it or leave it è un reportage molto lungo, non un film. E' totalmente slegato nei suoi momenti migliori, e unito da un'idea di ripresa della realtà totalmente imprecisa nei momenti peggiori.
La fuga all'estero è una delle idee più diffuse (e meno praticate) tra il pubblico d'elezione di questo tipo di film, ne esprime solo l'arroganza e la presunzione, poichè implica che chi vuole andarsene non si riconosce nei lati peggiori del suo paese, ma solo nei migliori, si pone su un piedistallo da solo e legittima la sua posizione con l'esterofilia ("vuoi mettere Londra?").
Lasciare al vecchio saggio (Camilleri) una chiusa patriottica e dignitosa e far finire il documentario con la decisione dei due di rimanere in Italia è solo un sentimentalismo da poco e non un traguardo intellettuale o anche solo dialettico.
Ciliegina sulla torta il film è promosso con i passaggi a diversi festival internazionali e l'idea che "ovviamente" in Italia nessuno se l'è filato mentre è la dimostrazione ultima di come spesso all'estero sono più fessi di noi.
Che cazzo almeno Micheal Moore il cinema lo sa fare!
Non l'ho ancora visto. Però il tema m'ispirava parole come le tue..
RispondiEliminaChe poi nessuno approfondisce mai questa storia della fuga dall'Italia.
Vuoi mettere Londra?
La maggior parte delle persone che si sono trasferite là, fanno il cameriere.
Però sembra che se fai il cameriere a Londra sei fico.
Ti dirò, almeno se fai il cameriere a Londra hai un contratto con ferie, malattia e assicurazione pagate, cose che in Italia con un lavoro non qualificato (ma spesso anche con uno qualificato) ti sogni la notte. Il lavoro all'estero sta divenendo, da leggenda che era, sempre più una realtà, ben giustificata tra l'altro.
RispondiEliminaE con questo apro e chiudo la parentesi su argomenti delicati che è troppo semplice liquidare con un "a londra sei più fico", pure perchè un ipotetico paese estero per fortuna non si ferma a Londra.
senza polemica ovviamente, nei confronti di nessuno.
Entrando nel merito, la mia ragazza ha visto il film al festival del cinema italiano di Grenoble, e durante l'incontro con i registi, questi si sono proprio lamentati del fatto che loro riuscivano più facilmente a distribuire il film all'estero perchè in Italia non se li filava nessuno! ahah!
Una sola domanda: in pratica il film si conclude con i due protagonisti che, in preda ad un attacco preventivo di nostalgia, decidono di rimanere perchè "tenimm'o'sol', tenimm'o'mar'" e "alla fine l'Italia è il miglior paese del mondo, volemose bene"?
La questione non è se all'estero si stia davvero meglio che qui o se sia più facile lavorare o se semplicemente ci siano posti più civili. Quella è una problematica seria sulla quale ho pareri contrastanti e che penso meriti trattazioni più ampie e sofisticate.
RispondiEliminaLa questione di Italy love it or leave it è che fa tutto partendo dal presupposto che gli autori (e per estensione tutto quel pubblico che con loro pensa "si me ne dovrei andare perchè in Italia ci sono troppe cose che non vanno") si ritiene migliore o quantomeno fuori da questi problemi. Sono gli altri la causa di tutto quel che di brutto viene elencato e mai loro.
La cosa è ancor più rafforzata nel finale, quando la loro decisione di rimanere (dopo un documentario intero in cui sembra che andarsene sia l'unica decisione sensata) è montata subito a fianco alla dichiarazione di Camilleri che, in buona sostanza, dice che non bisogna andare via se si pensa che ci siano problemi, perchè il posto che lasciamo vuoto andandocene sarà riempito da qualcuno che aumenterà quei problemi.
E' questo che è intollerabile. Dare giudizi senza considerare di essere parte del problema, senza essere coinvolti ma mettendosi un gradino più in alto (e automaticamente dando giudizi).
A chi dice "Vuoi mettere Londra?" va risposto: "Londra?? Ma vuoi mettere Los Angeles?? Ma vuoi mettere Melbourne?!?"
capisco il tuo punto e in parte lo condivido. pero':
RispondiEliminasentirsi migliore degli altri e' davvero un atteggiamento arogante?
se vado a vedere un blockbuster in una multisala, circondato da gente che divora cibo, parla al telefonino e per andare al bagno passa tranquillamente davanti allo schermo, io mi sento migliore di loro. non piu' colto, piu intelligente: semplicemente piu' adatto al vivere civile in un paese civile. sono arrogante? e stiamo parlando di un campione sociale che non e' certo una minoranza.
a questo punto l'obiezione potrebbe essere: appurato che sei "migliore", fai qualcosa per cambiare le cose, allora! ma anche questo attualmente, e' impresa davvero ardua. devi essere un titano dello spirito. o forse, farci un film E' fare qualcosa.
Io credo che un conto è pensare di essere migliore in una contingenza particolare, che io chiamerei "agire correttamente". Cioè sei in una situazione vedi persone che si comportano incivilmente e cerchi di tenere invece l'atteggiamento più corretto possibile, un conto è elevare tutto questo a caratteristica generale.
RispondiEliminaIo penso di essere civile su certe cose e meno su altre, nel complesso non posso dirmi migliore di chi mi supera alla fila ma poi magari è un grande benefattore.
Più in grande ancora però io credo che un conto sia quel che io penso di me, cioè come mi valuto e come penso si essere rispetto a chi mi circonda e un conto è come mi posiziono rispetto agli altri quando interagisco con loro. Potrei anche arrogantemente pensare di essere la persona più civile del paese ma non mi sento in diritto di far passare il concetto che io sono la parte migliore dell'Italia e che non mi merito di vivere in un paese così, perchè se il paese è così è colpa di tutti, anche mia che sono civile.
Non ti puoi tirare fuori dall'equazione.
non sonot roppo d'accordo che abbiamo tutti responsabilita', sai?
RispondiEliminapago le tasse fino all'ultimo centesimo felice di farlo, non parcheggio mai in doppia fila, ho un atteggiamento di consumo tutto sommato morigerato, non ho mai votato per gente come quelli che ci hanno governto, eccetera, eccetera.
se qualcuno mi viene a spiegare in che modo sto contribuendo allo sfacelo dell'italia, sono pronto ad ascoltarlo. non dico tutto cio' con arroganza, ma semmai con tristezza...
certo e' un discorso complicato e lungo, mi rendo conto!
Io dico che siamo tutti responsabili per lo stesso motivo per il quale non sono daccordo con i discorsi di separatismo da Lega. Un paese unico e chi sta meglio si prende cura di chi sta peggio, chi è più civile cerca di portare nella civiltà chi lo è meno.
RispondiEliminaFare il proprio dovere di cittadino è il minimo, dunque non mi percepisco come migliore.