Non è facile riuscire affrontare alcuni degli argomenti più noti, abusati e già trattati che ci siano per restituirgli rinnovato interesse attraverso un'indagine accurata e uno sguardo autoriale. Alex Gibney è un documentarista di sopraffino ingegno e raro acume, che affronta temi estremamente commerciali e commerciabili senza mai rinunciare ad un occhio personale e uno scavo profondo.
Mea Maxima Culpa gira di nuovo intorno alla colpa (tema che ricorre molto spesso nelle sue indagini) e per occuparsi di pedofilia cattolica sceglie un pugno di casi, i più clamorosi e noti, che hanno riguardato negli anni '50 un gruppo di bambini sordi di un istituto cristiano e un prete in particolare. Da quegli eventi e dalla lotta che i bambini (diventati adulti) hanno combatutto nei decenni successivi, Mea Maxima Culpa prende il la per mostrare l'atteggiamento del Vaticano, la relazione che i fedeli stabiliscono con quest'istituzione e le sue emanazioni (i preti) e infine gettare una luce inedita su alcune figure molto note.
Sarebbe stato al limite del morboso e del superficiale occuparsi solo dei dettagli degli abusi sui bambini sordi, i necessari racconti e le minuzie riguardanti la situazione familiare delle vittime, per questo Gibney sceglie invece di andare a guardare anche da altre parti, alza il tiro e in più momenti dal dramma delle vittime cerca di catturare anche il senso di responsabilità delle istituzioni.
Contrariamente a molti altri documentaristi non cerca mai l'assalto sensazionale, l'intervista che incastra il colpevole o la reazione clamorosa davanti alla macchina da presa, ma anzi scava i pareri più inusuali e trova le figure meno prevedibili. Non è un giornalista Gibney ma un regista e questo lo si vede nella sua predilezione per i personaggi invece che per le storie, per il piccolo ritratto umano e per l'uso enfatico di alcuni dettagli nel materiale di repertorio.
Sebbene faccia un abuso discutibilissimo di scene ricostruite (quando ci sono i racconti di eventi di cui non si dispone di materiale video, li rimette in scene con una fotografia enfatica), ha poi la grazia di dare dignità anche ai carnefici.
Ma la vera dimostrazione dell'atteggiamento da miglior documentarista sta nell'audacia documentata di saper gettare una nuova luce su i due Papi recenti, Ratzinger e Wojtyla, genericamente indicati il primo come freddo, distante e conservatore, il secondo come rivoluzionario e vicino alla gente. A partire da alcuni fatti determinanti e senza mai negare (ma anzi ricordando) le imprese di Giovanni Paolo II, Gibney spiega bene quanto le carte in tavola non siano simili a quello che la gente ha in mente, che non esiste rivoluzione in un'istituzione come la Chiesa, di certo non a quei livelli e che oltre al lavoro davanti ai riflettori ne esiste uno dietro.
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