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4.1.14

The Butler (id., 2013)
di Lee Daniels

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Il problema di The Butler è che non racconta niente. Se è vero che ci ripetiamo sempre le medesime storie e che anche la Storia va raccontata più e più volte perchè i medesimi fatti possono offrire idee e spunti differenti, è anche vero che Lee Daniels non ci prova nemmeno. 
Partendo dalla vera vita di uno dei più anziani e rinomati maggiordomi della casa bianca The Butler legge la storia della conquista dei diritti civili dei neri in America andando (letteralmente) dai campi di cotone ad Obama, con una superficialità da sussidiario elementare.

Come è uso un'unica famiglia racchiude tutte le istanze e le contraddizioni della lotta. Il padre, modello elevato di "house negro", si scontra con il figlio, prima attivista poi pantera nera e infine deputato democratico fino a comprendere le ragioni e le conquiste delle sue lotte. Intanto sotto i suoi occhi passano diversi presidenti e diversi modi di intendere gli Stati Uniti. Ogni personalità e ogni fatto è ridotto alla sua caratteristica più evidente e nota, come in una caricatura in cui la cosa sia più importante sia capire al volo chi è il soggetto e non riceverre nuove informazioni su di esso. Nixon suda, Kennedy è giovane, bello e sfortunato, Johnson sempre al bagno, Eisenhower dipinge.

Va da sè che un impianto simile presta il fianco facilmente ad interpretazioni di parte e rende molto complessa l'astrazione da un giudizio storico. Ma tanto non è questo che intererssa a Daniels, che sembra aver riraccontato la storia dei neri in America solo per distribuire torti e ragioni. No alle pantere nere, sì a tutti i repubblicani, sì a Martin Luther King, no a Johnson e ovviamente sì ad Obama. 
Nella trama di un maggiordomo al servizio dei potenti che vive in casa propria una sineddoche di ciò che avviene nel paese, così vicino al potere ma così lontano, non vi è niente. Niente. 
The Butler è incapace di guardare oltre alla propria storia e alla propria visione della Storia, tutto concentrato a fare un film di attori, in cui ogni grande nome (e ce ne sono) ha un assolo o una performance strappapplausi. Beandosi di se stesso, delle lotte della sua razza, dell'importanza nella storia del suo paese e delle star che può proporre (i soliti Lenny Kravitz, Mariah Carey e Oprah Winfrey), The Butler si sbrodola di compiacimento dimenticando di fare un film significativo, dimenticando di non essere il primo ad aver raccontato quei fatti e di essere, se non altro, in dovere di darne una visione più complessa e non più semplice di quella che conosciamo.

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