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8.2.14

Yves Saint Laurent (id., 2014)
di Jalil Lespert

BERLINALE 64
PANORAMA

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Il rigore degli anni ‘50, gli eccessi dei ‘60 e la crisi dei ‘70, non ci sono mezze misure ma solo luoghi comuni in questo film biografico su Yves Saint Laurent, che sembra tenere a tutto tranne che al suo protagonista, che lo segue per 3 decenni e poi salta dritto alla morte senza saper fare di questa scelta una parabola o una costruzione intellettuale.

C’è la storia che entra dai telegiornali, futile, vaga e anche poco comprensibile, c’è l’attualità che si intuisce dai discorsi nelle occasioni sociali e c’è anche un accenno di costume. Indeciso se ritrarre lo stilista o gli anni che ha segnato Jalil Lespert non riesce a fare nessuna delle due cose. Il primo è un uomo che tutti chiamano “genio” ma di cui non vediamo mai l’abilità al lavoro o del quale non capiamo le svolte, la forza e la differenza con gli altri; i secondi sono un’accozzaglia che non codifica, mostra o legge nulla, semmai ripropone quei segni che lo spettatore sa ricondurre alle varie epoche, così da identificarle da solo.

Già pupillo di Dior in giovane età, noto per la sua timidezza e gli atteggiamenti schivi, Yves Sain Laurent fatica a ritagliarsi un ruolo nel mondo della moda nonostante il suo genio riconosciuto. Sarà il tradimento della casa Dior (alla morte del fondatore) e l’incontro con Pierre Bergé, professionalmente proficuo ma sentimentalmente difficile, a cambiare la sua vita, portandolo ad aprire un proprio atellier e ad uscire fuori dalle costrizioni che una rigida educazione cattolica avevano imposto.

Concentrandosi sulla vita privata del grande uomo, come si conviene ad un film biografico, Lespert questa volta dimentica totalmente di mostrare il motivo per il quale questi ha meritato un film che ne racconti la (ben poco interessante) vita. Si sprecano le lodi nei suoi confronti lungo tutto il film, quasi ci volesse convincere a parole del genio di Yves Saint Laurent, senza essere capace di mostrarcelo al di là degli abiti.

Quest’atteggiamento molto povero di scrittura fa il paio con la scelta di piegare tutto il film sugli attori, dimenticando totalmente che anche gli altri comparti dovrebbero concorrere alla riuscita finale. Potendo contare su Guillaume Galliene e Pierre Niney (già apprezzati in Tutto su sua madre e 20 anni di meno), entrambi provenienti dalla comedie-française, Lespert (anch’egli attore al suo primo film da regista) lavora unicamente con loro e su di loro, cerca l’interpretazione magistrale in ogni scena, spesso trovando, specie in Galliene, una spalla perfetta, misurata e comunicativa. Ma è decisamente inutile perchè tutto quel che i personaggi si dicono e fanno sembra avere l’obiettivo di mettere in mostra la recitazione più della storia, gli attori e non ciò che interpretano.

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