L'idea è subito fulminante: un finto documentario su Leonardo Zuliani, personaggio immaginario simbolo imperituro della lotta per la conquista di uno dei diritti civili meno immaginabili: quello all'odio antisemita.
Il film di Alberto Caviglia ricalca lo stile del servizio televisivo (nella finzione gran parte della storia sarebbe uno speciale su Zuliani di un telegiornale) e usa molte armi diverse per raccontare l'eroica figura di un uomo che ha lottato per affermare il proprio diritto ad odiare gli ebrei. Materia delicatissima e crinale sottilissimo, quello su cui si muove Pecore in erba ma anche giro clamoroso per prendere una questione nota e gravosa da un'ottica imprevista. Da questa storia si viene colpiti là dove si è scoperti, si rimane di colpo inermi di fronte al suo umorismo, ci si chiede più volte che cosa si stia guardando e di fatto Pecore in erba arriva là dove molti altri film più canonici o irregimentati non osano.
Il punto di vista è quello condiviso dalla maggior parte delle persone, per questo il più semplice da trattare con banalità, ma è esattamente quello che non fa Caviglia che del problema dell'antisemitismo dimostra di avere una conoscenza più approfondita della media.
Il paradosso di una società in cui è uno schifo che la gente debba vergognarsi ad odiare gli ebrei (da cui il neologismo esilarante di antisemitofobia) è una maniera fantastica per parlare di come in realtà nel nostro mondo realmente esista un antisemitismo, più profondo e strisciante di quello ignorante, violento e sbandierato dall'estrema destra.
Alberto Caviglia pare conoscere così bene la materia da riuscire a maneggiare nitroglicerina come fosse pastella, inventa un finto documentario in cui Zuliani esiste quasi solo in fotografia (espediente che gli consente di creare uno stile e un umorismo fotografico esclusivi) e si contorna di testimonianza illustri che aumentino il senso di straniamento per le paradossali affermazioni di civiltà legate all'antisemitismo.
Tutto questo purtroppo è anche il difetto maggiore del film. Se l'idea e l'attacco sono impeccabili, molto meno lo è la seconda parte, in cui lo svolgimento si continua a ripetere con una certa stanchezza, i molti nomi illustri chiamati a parlare diventano l'unica voce narrante e ben presto stancano (Freccero, Augias, Gianni Canova, De Bortoli, Sgarbi...). Infine anche l'umorismo surreale che ribalta la realtà e ciò che consideriamo "civile" per svelare come in realtà non sia così, funziona sempre meno.
Come una fiammella lentamente Pecore in erba si spegne e muore trascinandosi stancamente, stracciando tutta la propulsione iniziale. È un peccato ma al tempo stesso anche la rivelazione di uno spirito fuori dal comune.
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