Cosa aspettarsi da un film prodotto per l'Occidente da Tarak Ben Ammar se non questo incredibile polpettone dall'indulgenza continua e dal didascalismo arabico costante?
Con un'insistenza di raro fastidio sui veri valori della cultura araba del deserto, un'idea retrograda di film fiume e un umorismo involontario che pare essere l'unica forma di salvezza Il principe del deserto è un'opera dalla sceneggiatura che pare scritta decenni fa per l'uso antiquato che fa dei personaggi archetipici.
Gli attesi momenti Lawrence D'Arabia non tardano ad arrivare e come previsto era meglio se non ci fossero, i personaggi femminili sono totalmente secondari se non dannosi (e meno male che era un film per riabilitare la cultura musulmana!) ma anche quelli maschili non scherzano. Con la sola, totalmente imprevista, eccezione del villain ragionevole di Antonio Banderas, il resto del film risponde ad un'idea di intrattenimento e di "racconto morale" che fa il paio con l'epoca in cui è ambientata la storia.
Impossibile riconoscere in questo film il medesimo autore di Il nemico alle porte, nonostante il fulcro narrativo, ovvero la lotta a distanza tra due individualità di casta, tipologia, censo e motivazioni differenti, sia il medesimo.
A salvarsi fuor di dubbio è la fotografia di Jean Marie Dreujou, il quale chiamato a fare quel che deve (grandi paesaggi, grandi cieli, grandi dune e piccoli uomini dai grandi volti in mezzo ad esse) redige il compito in maniera diligente, ficcando anche più di una trovata interessante. Ma quando in un film epico d'avventura finisci ad attendere la prossima, piccola, trovata di fotografia sta proprio andando male...
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