Il raccomandato al cinema esiste da sempre ed è sempre stata una figura negativa, che distrugge sogni e ruba il merito, quasi uno spauracchio per l'età adulta. Esiste nei film degli anni '50 come in quelli degli anni '70 e quelli moderni. La differenza con C'è chi dice no è che stavolta il raccomandato non è una figura paradossale ed estrema, talmente malvagia e gretta da non scatenare immedesimazione in nessuno, questa volta il raccomandato o i raccomandati sono così tanti e di così tante tipologie da risultare più simili al pubblico che guarda il film.
Ecco perchè, nonostante C'è chi dice no sia un film che per ampi tratti è scritto, recitato e pensato come una fiction televisiva e si nutra di ingenuità e banalizzazioni favolistiche al limite del tollerabile, lo stesso riesce ad avere dei momenti di inattesa sincerità.
Forse è più per demerito degli altri che per merito proprio, sta di fatto però che con tutto il suo politicamente corretto e buonista, il film di Giambattista Avellino disegna comunque una serie di raccomandati, segnalati e "piazzati" da cui non si scappa e da cui è difficile evitare l'identificazione per chi rientra nella categoria.
Non penso tanto al pubblico del cinema, quanto a quello dell'Home Video (esiste ancora?), delle televisioni a pagamento e via dicendo. Vedendo il film è difficile non pensare a quale reazione possa avere una certa tipologia umana vedendo un film che gli punta un dito contro in maniera diretta e la riempie di insulti, caricandola di responsabilità a nome della comunità.
Responsabilità certo che forse sono anche eccessive e sfociano nella solita autoindulgenza. Guardando infatti all'altra tipologia di pubblico, quello che vede il film e si identifica con il vessato, come al solito c'è un'esaltazione delle normalità ed un'esternalizzazione delle colpe. I protagonisti sono fenomenali studiosi e incredibili giornalisti, distrutti da un sistema. Non è colpa mia, io sono bravo, è che i raccomandati mi fregano. Quando il punto dovrebbe essere che anche il non bravo, il medio, il normale dovrebbe avere diritto a non vedersi sorpassato, non solo il genio.
Non lo si dice per ecumenismo o senso di giustizia globale, quanto per il fatto che C'è chi dice no in questa maniera cavalca la tendenza di tutti a scaricare la propria responsabilità dai fallimenti personali per attribuirli sempre e comunque, che sia vero o meno, ad un sistema che è etichettato come "pieno di raccomandati" a prescindere, e dove ogni mancanza del singolo si scioglie davanti all'ingiustizia che arriverà, giustificando ognuno a cercare una propria raccomandazione perchè "altrimenti il posto va ad un altro raccomandato, quindi...".
2 commenti:
A mostrare la parabola piagnona del cinema italiano e dell'Italia stessa basterebbe ricordare lo scambio di battute Sordi-De Sica ne Il Vigile:
S: "...è stato proprio lei che mi ha raccomandato!"
dS: "Si dice: segnalato."
mitico
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