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11.11.10

The Social Network (id., 2010)
di David Fincher

David Fincher è da sempre innamorato dei percorsi narrativi che consentono la ricostruzione di qualcosa (siano una serie di omicidi, sia la struttura di un libro, sia un fatto di cronaca) e per la storia della nascita di Facebook idea un racconto intrecciato tra dibattimenti, patteggiamenti e fatti reali mostrati in flashback, tutto centrato sull'inespressività di Jesse Eisenberg. L'attore newyorchese riesce infatti nell'impresa di comunicare la non comunicatività del suo Zuckerberg, in una lotta legale che è anche sopraffazione di una classe su un'altra. Una perversa e malvagia rivincita del nerd nei confronti di quelli che percepisce come nemici (l'ex migliore amico più integrato di lui, i canottieri che tanto piacciono alla ragazza che lo ha mollato).

L'idea più chiara di David Fincher è che Mark Zuckerberg, l'uomo che ha dato alla parola "amico" un altro significato, più allargato e lieve, alla fine della sua ascesa economica e sociale è solo. Chi ha ideato il network della socialità per eccellenza è una persona socialmente inabile, anche per i bassi standard dei nerd accademici, e una delle spinte più forti nella sua corsa non è stato tanto il desiderio di arrivare, quanto la frustrazione sociale.
È la nuova imprenditoria, fondata sul modo in cui la tecnologia entra o può entrare nella vita delle persone per mutarne le abitudini e su una volontà di successo a modo proprio, con i party in ufficio, le selezioni del personale fatte in base a chi meglio resiste all'alcol e i biglietti da visita con gli insulti.

The Social Network è il primo film a riportare senza clamore o sottolineature arroganti un dato di fatto della modernità, ovvero che la vita in rete (ciò che si fa, si legge e che accade online) per una certa fetta dell'umanità ha la medesima importanza della vita reale. Senza voler criticare quel mondo, Fincher guarda con moltissima empatia il suo protagonista, non gli risparmia stoccate ma sembra concedergli il massimo della benevolenza e della comprensione, anche nei momenti più duri.
Orchestrando un film più moderato del suo solito (un'unica scena sopra le righe, quella della gara di canottaggio) stavolta l'accento sembra davvero sull'ambiente e sul mondo-Silicon Valley, più che sui suoi personaggi. Con l'appropriato e bellissimo sottofondo dei Nine Inch Nails Fincher procede senza sosta nella sua minuziosa ricostruzione che solo superficialmente guarda ai fatti ma in realtà mira ai mutamenti sociali.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

D'accordissimo. Grande attenzione sul protagonista che ci viene restituito in tutta la sua fragilità e insicurezza sociale da un lato e nella sua spocchia e stronzaggine da nerd dall'altro. Bellissima la scena della gara di canottaggio comunque.

Ale55andra


Anonimo ha detto...

molto bella questa recensione!

Valerio


alp ha detto...

avrei voluto che l'accento sembrasse ancora di piu centrato sull'ambiente e che F. avesse esagerato come al solito


gparker ha detto...

alp, fai riferimento alla scena del canotaggio per "girare come al solito", cioè un po' meno invisibile e un po' più marcato? Io non so, anche a me piacciono simili marcature, tuttavia in questo film la sua invisibilità è compensata da un racconto veramente più denso del solito, quasi europeo.


pap ha detto...

gparker:

non vedere comparire neanche una volta la parola "Sorkin" in questa recensione, come se il film fosse di Fincher e stop, mi crea disappunto.

Il film cncora non l'ho visto.

Ma anche solo incrociare gli autobus su ponte Vittorio che si portano a spasso sul posteriore "Aaron Sorkin" scritto in grande (e non come una clausola vessatoria fra i tanti credits) ha fatto fremere le mie budella.

...e da un seriale come te, non me lo sarei aspettato!


gparker ha detto...

Hai ragione, è una pecca non da poco. Anche se devo dire che lo stile sorkiniano non marca con forza il film. Certo, l'organizzazione del racconto è davvero a prova di bomba, e questo non potevo non farlo notare, e ovviamente la penna abile ha il merito, tuttavia è anche vero che si tratta di un tratto forte di tutto il cinema di Fincher.
Non so se hai già visto il film ma poi mi dirai tu se hai riscontrato tratti evidenti sorkiniani in, per dire, i dialoghi. Mi sembra più nascosto del solito.


alp ha detto...

si mi riferivo proprio a cio' che dici tu, Fincher non è che mi faccia impazzire ma l'invisibilità non fa per lui ,è un regista, credo, che debba aprire voragini, non raccontare tout court


EmmeBi ha detto...

Beh, il personaggio di Sean Parker e i dialoghi che lo coinvolgono tra cinismo e ironia, giochi di parole e commenti tranchant sono ciò che di più sorkiniano si possa avere.


gparker ha detto...

Non esageriamo. Si, sicuramente è il più dialetticamente interessante, ma nulla di sensazionale.
Comunque il film l'hai gradito?


Occa ha detto...

esco dalla sala ENTUSIASTA. mi e' piaciuto tutto la storia la regia l'ambientazione i personaggi (tutti)la musica le battute l'inespressività perfetta d jesse eisenberg.. credo che il film sia molto crudo in un modo diverso dal fight club o da seven (forse + simile a b. button) ma credo ke la diversita', l'inabilita' sociale, la difficoltà a vivere il ns tempo accomunino tutti i suoi film (alemno quelli ke conosco). bella recensione gparker.


gparker ha detto...

come potrai immaginare per la mia tipologia umana vedere un film bello che faccia un ritratto spietato ma sincero dei mutamenti nelle relazioni umane (e negli esseri umani) introdotti negli ultimi anni dalla tecnologia è stato un orgasmo.


Occa ha detto...

..anke per me..ke appartengo a altra tipologia umana. ma ke cmq apprezzo e vivo i cambiamenti sociali dovuti alle innovazioni tecnologike. W fincher more than ever.


gparker ha detto...

sempre viva! :)


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