E’ difficilissimo portare il teatro al cinema e farsi aiutare da un maestro delle immagini come Roger Deakins sicuramente è utile in questo senso, eppure il senso ultimo di Il Dubbio sembra lo stesso non appartenere al film.
Verboso come sanno essere le opere teatrali e quindi necessariamente imperniato attorno a due punti fissi incrollabili come Philip Seymour Hoffman e Meryl Streep, il film si propone scientificamente di indagare il concetto di dubbio o di sospetto cercando di lasciare che lo spettatore sia coinvolto attivamente nell’impossibilità di esprimere un giudizio.
Il prete protagonista è colpevole di ciò di cui la superiora lo accusa senza prove? I suoi cedimenti sono manifestazione di altre debolezze o semplice coda di paglia? La risposta a queste domande conta poco, quello che conta è porsi simili interrogativi e mettere in crisi la cultura del sospetto e del dubbio.
Tutto questo però emerge con una certa fatica e soprattutto grazie ad un’esposizione esagerata dei significati. Tutto è sufficientemente urlato e la trattazione molto banale della materia non trova il necessario contraltare in una conclusione alta. Anzi proprio la chiusura del film, sempre importante ma in questo caso fondamentale, è tra i momenti peggiori di un film che manca anche di affrontare il tema principale, quello della pedofilia.
Parlare di un tema così attuale in America non può essere considerato casuale o non influente e farlo trasportando le vicendo in un’altra epoca, foriera di altre contraddizioni (una chiesa ancor più fuori dal tempo di oggi e un prete progressista che oggi sarebbe solo normale) e incapace di giungere a vera sintesi.
Lo scontro dialetico tra Philip Seymour Hoffman e Meryl Streep è quello tra il pensiero dogmatio tipico delle istituzioni cattoliche e quello più liberale che si prende la briga di “questionare” la reltà e gli ordini superiori. Allo stesso modo in cui la madre del ragazzo coinvolto ha tutta un’altra visione delle cose data dalla particolare situazione che vivono. Eppure da tutti questi scontri non emerge nessuna sintesi, nessuna idea.
E poi soprattuto perchè costellare la messa in scena con quelle inquadrature sghembe? Sempre presenti in momenti cardinali e quindi teoricamente portatrici di significati molto chiari ma poi incredibilmente banali. Perchè girare tutto come se ci fossero delle verità (appunto dogmatiche) da impartire? Il Dubbio alla fine rimane solo sulla trama.
Verboso come sanno essere le opere teatrali e quindi necessariamente imperniato attorno a due punti fissi incrollabili come Philip Seymour Hoffman e Meryl Streep, il film si propone scientificamente di indagare il concetto di dubbio o di sospetto cercando di lasciare che lo spettatore sia coinvolto attivamente nell’impossibilità di esprimere un giudizio.
Il prete protagonista è colpevole di ciò di cui la superiora lo accusa senza prove? I suoi cedimenti sono manifestazione di altre debolezze o semplice coda di paglia? La risposta a queste domande conta poco, quello che conta è porsi simili interrogativi e mettere in crisi la cultura del sospetto e del dubbio.
Tutto questo però emerge con una certa fatica e soprattutto grazie ad un’esposizione esagerata dei significati. Tutto è sufficientemente urlato e la trattazione molto banale della materia non trova il necessario contraltare in una conclusione alta. Anzi proprio la chiusura del film, sempre importante ma in questo caso fondamentale, è tra i momenti peggiori di un film che manca anche di affrontare il tema principale, quello della pedofilia.
Parlare di un tema così attuale in America non può essere considerato casuale o non influente e farlo trasportando le vicendo in un’altra epoca, foriera di altre contraddizioni (una chiesa ancor più fuori dal tempo di oggi e un prete progressista che oggi sarebbe solo normale) e incapace di giungere a vera sintesi.
Lo scontro dialetico tra Philip Seymour Hoffman e Meryl Streep è quello tra il pensiero dogmatio tipico delle istituzioni cattoliche e quello più liberale che si prende la briga di “questionare” la reltà e gli ordini superiori. Allo stesso modo in cui la madre del ragazzo coinvolto ha tutta un’altra visione delle cose data dalla particolare situazione che vivono. Eppure da tutti questi scontri non emerge nessuna sintesi, nessuna idea.
E poi soprattuto perchè costellare la messa in scena con quelle inquadrature sghembe? Sempre presenti in momenti cardinali e quindi teoricamente portatrici di significati molto chiari ma poi incredibilmente banali. Perchè girare tutto come se ci fossero delle verità (appunto dogmatiche) da impartire? Il Dubbio alla fine rimane solo sulla trama.
9 commenti:
Peccato. Credo che lo vedrò comunque perché c'è P.S. Hoffmann, però..
(Curioso che poi lo stiano facendo a teatro in questo stesso periodo)
Ricordo un fantastico "La casa dal tappeto giallo" tratto da un'opera teatrale. Peerfettamente riadattato e riuscito, sebbene decisamente rivoluzionato rispetto al testo originale.
allora ci sarebbe anche il fantastico La Morte e La Fanciulla di Polanski. Ma sono veramente delle eccezioni che si distinguono proprio per come snaturano il linguaggio delle immagini dell'opera di partenza con i mezzi del cinema.
ah il dubbio ma è quello che sta facendo Castellito al teatro?
CIOE NOI LO FACCIAMO AL TEATRO CON STEFANO ACCORSI E LORO CON SEYMOUR HOFFMAN MA CI RENDIAMO CONTO?!
Già......
e qui siamo del tutto d'accordo!
Eppure continuo ad avere alte aspettative su quest film, spero di vederlo al più presto.
Ale55andra
Bè quelle inquadrature sghembe in effetti non sono il massimo...io ho provato a dare una mia personalissima interpretazione.
Però secondo me il tema principle non è quello della pedofilia...a parte questo il film tutto sommato mi è piaciuto, al di là di alcuni difetti di cui anche tu parli e su cui sono d'accordo ^^
Ale55andra
Secondo me il modo con cui tu vedi l'uso delle inquadrature sghembe non regge. Quantomeno non mi trovo daccordo, non penso sia un modo con cui rispecchiare formalmente la dialettica del contenuto. Perchè non sono abbinate a quei momenti, le inquadrature sghembe non diventano mai un modo di comunicare modernità o progressismo. Tanto più che nascono con Orson Welles, cineasta che sotto ogni punto di vista è classico. Classico visto oggi e classico visto negli anni '60 avanzati (dove la nouvelle vague era la modernità).
Insomma non mi sembrano un elemento di modernità o di progressismo. Anzi!
Le inquadrature sghembe per comunicare incertezza sono una soluzione vecchissima, che mi ha infastidito proprio per il suo essere (in questo film) banalmente retro.
Ad ogni modo concordo che il film non è sulla pedofilia, tuttavia ne affronta la presenza e la pressione. La suora più volte accenna al fatto che è capitato "un'altra volta" come a darne per ripetuta la violazione.
Non che dovesse per forza diventare un film sulla pedofilia, però quello è un altro tema che non viene trattato ma solo accennato.
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