Olmi aveva detto che avrebbe smesso di fare film di finzione e si sarebbe dato unicamente al documentario e così è arrivato Terra Madre. Come era facile aspettarsi il primo di questi documentari tocca uno dei temi fondamentali dell’autore, cioè il recupero di un umanesimo contadino antistorico che salvi l’umanità dall’imbarbarimento e dall’impoverimento spirituale della vita metropolitana (per l’occasione Celentano ha anche fatto una canzone che si sente sui titoli di coda).
Il documentario è bellissimo. Davvero. All’inizio è molto attaccato all’evento Terra Madre che, patrocinato da Slow Food, riunisce ogni anno contadini e attivisti della categoria per recuperare appunto quella dimensione alimentare e così risolvere i problemi della Terra. Mentre alla fine è un’ode al rapporto uomo/natura, al lavoro dei campi e alla gioia della vita contadina.
Ecco questa seconda parte specialmente è straordinaria, ma straordinaria davvero. Per tutto il film Olmi riesce a fare del vero cinema a trovare immagini e dimensioni narrative non necessariamente didascaliche che comunichino tramite l’estetica, ma nel finale tutto questo arriva all’apoteosi.
Ci sono circa 20 minuti muti, di un uomo che lavora la terra che sono sensazionali! Quelle immagini molto ravvicinate, molto curate (ogni frutto ha una sua inquadratura, sue luci, sue prospettive), abbinate ad un sonoro forte e non sempre in armonia ma spesso in contrasto comunicano in ogni secondo un amore per l’oggetto rappresentato pari a quanto sia riuscito a fare Truffaut con il cinema in Effetto Notte. E lo dice uno che non è particolarmente in fissa con il ritorno alla natura, anzi! Ma sono rimasto conquistato da come Olmi padroneggi il mezzo e non solo non annoi in quei 20 minuti documentaristici ma anzi appassioni con ogni taglio di luce.
Altro discorso andrebbe poi fatto per la teoria di fondo del film, cioè per la teoria espressa da molti partecipanti a Terra Madre che Olmi con le immagini sembra sposare in pieno (lo sappiamo anche dalle sue molte dichiarazioni sul tema), cioè appunto la necessità di tornare alla natura per recuperare la nostra umanità e addirittura la vita contadina come “nuovo illuminismo”, affermazione che non saprei nemmeno da dove iniziare a criticare.
Non che non sia d’accordo con la necessità di rivedere le strategie di distribuzione alimentare (anzi!), ma non è il rifiuto della modernità la risposta. Invece in Terra Madre proprio il rifiuto della modernità è uno dei temi fondamentali, modernità come inquinamento, modernità come metropoli, modernità come tecnologia disumanizzante.
Accuse non argomentate e non giustificate, anche perchè non sono in necessario contrasto con una revisione del sistema alimentare. Accuse in sostanza buttate lì sapendo di avere gioco facile con larghe fasce di pubblico ma che sviliscono un film dalla cinematografia stupefacente.
Il documentario è bellissimo. Davvero. All’inizio è molto attaccato all’evento Terra Madre che, patrocinato da Slow Food, riunisce ogni anno contadini e attivisti della categoria per recuperare appunto quella dimensione alimentare e così risolvere i problemi della Terra. Mentre alla fine è un’ode al rapporto uomo/natura, al lavoro dei campi e alla gioia della vita contadina.
Ecco questa seconda parte specialmente è straordinaria, ma straordinaria davvero. Per tutto il film Olmi riesce a fare del vero cinema a trovare immagini e dimensioni narrative non necessariamente didascaliche che comunichino tramite l’estetica, ma nel finale tutto questo arriva all’apoteosi.
Ci sono circa 20 minuti muti, di un uomo che lavora la terra che sono sensazionali! Quelle immagini molto ravvicinate, molto curate (ogni frutto ha una sua inquadratura, sue luci, sue prospettive), abbinate ad un sonoro forte e non sempre in armonia ma spesso in contrasto comunicano in ogni secondo un amore per l’oggetto rappresentato pari a quanto sia riuscito a fare Truffaut con il cinema in Effetto Notte. E lo dice uno che non è particolarmente in fissa con il ritorno alla natura, anzi! Ma sono rimasto conquistato da come Olmi padroneggi il mezzo e non solo non annoi in quei 20 minuti documentaristici ma anzi appassioni con ogni taglio di luce.
Altro discorso andrebbe poi fatto per la teoria di fondo del film, cioè per la teoria espressa da molti partecipanti a Terra Madre che Olmi con le immagini sembra sposare in pieno (lo sappiamo anche dalle sue molte dichiarazioni sul tema), cioè appunto la necessità di tornare alla natura per recuperare la nostra umanità e addirittura la vita contadina come “nuovo illuminismo”, affermazione che non saprei nemmeno da dove iniziare a criticare.
Non che non sia d’accordo con la necessità di rivedere le strategie di distribuzione alimentare (anzi!), ma non è il rifiuto della modernità la risposta. Invece in Terra Madre proprio il rifiuto della modernità è uno dei temi fondamentali, modernità come inquinamento, modernità come metropoli, modernità come tecnologia disumanizzante.
Accuse non argomentate e non giustificate, anche perchè non sono in necessario contrasto con una revisione del sistema alimentare. Accuse in sostanza buttate lì sapendo di avere gioco facile con larghe fasce di pubblico ma che sviliscono un film dalla cinematografia stupefacente.
9 commenti:
Tanto mi piace l'Olmi storiografico ("Il mestiere delle armi") quanto detesto l'Olmi populista ("Centochiodi").
Non so se vedrò mai questo documentario, ma questi 20 minuti sul contadino che lavora la terra mi attirano. Ha a qualcosa a che fare con Flaherty?
Non so se c'entra, ma qualche giorno fa mi sono rivisto un vecchio film di Kurosawa, "Non rimpiango la mia giovinezza", del 1946, e anche lì le scene migliori sono una lunga sequenza nella quale la protagonista lavora nelle risaie, e si partecipa al suo sudore, alla sua fatica, si sente il sole, l'umidità, ogni cosa...
Non rimpiango la mia giovinezza ce l'ho ma devo ancora vederlo, mentre Flaherty non direi mi sembra più personale, più scevro da ogni caricatura (che un po' Flaherty aveva).
Io però sono un amante di Centochiodi.
No, i centochiodi no!
no ammazza! Mi aveva davvero sorpreso, un film fortissimo. E non mi consideravo grande fan di Olmi.
L'unica cosa bella di quel film, secondo me, sono gli abitanti del paesino su Po, con la loro vita, e il PO stesso. La figura di Raz Degan l'ho trovata irritante e patetica. Ecco.
pensa che invece a me era piaciuto proprio lui, l'uso che Olmi ne fa, il fatto che l'abbia scelto per la somiglianza con Cristo e il ruolo che gli dà per parlare anche di quanto sia importante la "bellezza" nel vivere quotidiano, specialmente in ambienti semplici.
Confesso: di Centochiodi non ho capito quasi nulla, per il resto amo il primissimo Olmi soprattutto ma anche uno degli ultimi, Il mestiere delle armi. Dopo la tua rece non vedo l'ora di vedere quei 20 minuti
anche a me piace Il posto ma ho trovato proprio centochiodi davvero sorprendente. Non ho visto invece il mestiere delle armi.
qualcuno mi sa dire chi cantava e come si intitolaVA la canzone in dialetto sulle galline? ... ho cercato in internet ma non trovo nessun sito che riporti i credits di TERRA MADRE
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