Se c'era un regista che a dispetto dei film fatti aveva generato simpatia e interesse è D.J. Caruso. Il suo merito principale è stato di aver preso un film dalla trama molto scontata e ricalcata su altre pellicole come era Disturbia ed averlo tramutato in un gioiellino spensierato, un'opera di puro intrattenimento ben diretta, girata, interpretata e raccontata.
Cambio di sceneggiatori, cambio di commissione, cambio di intenti. Quasi 4 anni dopo D.J. Caruso dirige e si prende la responsabilità di uno dei pastoni più clamorosi degli ultimi anni.
Prendendo spunto da una serie e un universo mitologico nati sui libri di Jobie Hughes e James Frey (che scrivono sotto lo pseudonimo di Pittacus Lore), la trama di Io sono il numero 4, per come è presentata al cinema, somma una serie di stimoli e dinamiche provenienti da altri film, senza però fare un lavoro di sintesi che porti a qualcosa di nuovo.
La caccia di Terminator (e la sua voce off finale), una razza diversa mischiata agli umani come in Highlander, ragazzi che scoprono di avere ognuno poteri diversi come in X-Men, la high school come terreno eterno di scontro di tutto l'action adolescenziale, la ragazza normale coinvolta nella vita avventurosa del ragazzo anormale di cui è innamorata come in Twilight, gli alieni brutti e sporchi e via dicendo ad libitum.
Eppure alla fine della fiera non sono le ispirazioni da altri film o altre saghe ad appesantire un film che comunque potrebbe regalare ottimo intrattenimento, quanto la mancanza di personalità. Io sono il numero 4 sbaglia proprio nell'unico punto in cui non dovrebbe sbagliare, cioè nel dar vita ad una dimensione estetica e narrativa propria, un mood riconoscibile ed originale che lo distingua dalla massa e consenta la fidelizzazione. E' l'idea alla base del successo di Twilight, cioè che al di là del contenuto (di provato successo) i film hanno una riconoscibilità immediata che li distingue da tutti i molti omologhi presenti e passati.
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