La manualistica sembra la vocazione di Veronesi. Dopo i Manuale d'Amore arriva questo nuovo campionario di Genitori e Figli che, sebbene non rechi il sottotitolo "Istruzioni per l'uso" (come invece viene definito il tema delle storie all'interno del film), ha comunque la medesima missione.
La formula vincente (al boxoffice) di Veronesi infatti non sta tanto nell'idea di dare delle linee guida o di insegnare qualcosa sui rapporti, quanto sul mostrare un campionario di supposta umanità, cioè nel pretendere (attraverso elementi paratestuali come i titoli o la cartellonistica) di illustrare la situazione italiana su un dato tema. E dopo l'amore (parola vincente più di tutte al botteghino) tocca alla famiglia.
I nuclei sono sostanzialmente due, da una parte Michele Placido e Margherita Buy alle prese con un figlio che non rispecchia il loro universo di riferimento (loro intellettuali, lui appassionato di musica, danza e Grande Fratello), dall'altra con un po' più di protagonismo Luciana Litizzetto e Silvio Orlando, genitori in costante litigio e poi separati che hanno a che fare con una figlia adolescente vogliosa di perdere la verginità e un figlio più piccolo, razzista e violento entrambi a modo proprio colmi di un forte disprezzo verso i genitori.
La visione del mondo proposta da Veronesi è quella in cui le colpe si tramandano di generazione in generazione, in cui il malessere e le cattive azioni dei figli sono da imputare alla cattiva aria che si respira a casa e la situazione sentimentalmente insicura dei genitori è da imputare ai nonni che conducevano una vita scapestrata e ugualmente destabilizzante. I nonni però, si sa è l'età, sono guardati con sguardo indulgente, poverini.
E' proprio questa ipocrisia che rispecchia quella della realtà quotidiana a suscitare il fastidio maggiore, la falsità di assolvere le categorie più benvolute (bambini e anziani) per affondare sui restanti restituendo un quadro per nulla obiettivo delle cose ma sentimentalmente ruffiano, che pretende di fare poesia inquadrando le foglie controluce con un dolly a salire e musica di sottofondo.
E' il forte senso di presa in giro molto poco raffinata, di truffa da mercatino all'aria aperta che impedisce di guardare con indulgenza un film che a tratti fa sorridere ma che rimane (come gran parte della produzione di Veronesi) spesso mal recitato e raccontato con eccessive lungaggini.
Se in Italians il momento più alto era costituito dalla scena in cui Castellitto fa rombare le Ferrari nel deserto (!!) qui si tratta di una nuotata a sfondo animalista che dovrebbe dimostrare tutto (il ribellismo giovanile a fin di bene, la presenza di ideali, la distanza dal mondo adulto, il possesso di un proprio universo simbolico di riferimento) e invece non mostra niente ma lo fa con musica trionfale di sottofondo.
La formula vincente (al boxoffice) di Veronesi infatti non sta tanto nell'idea di dare delle linee guida o di insegnare qualcosa sui rapporti, quanto sul mostrare un campionario di supposta umanità, cioè nel pretendere (attraverso elementi paratestuali come i titoli o la cartellonistica) di illustrare la situazione italiana su un dato tema. E dopo l'amore (parola vincente più di tutte al botteghino) tocca alla famiglia.
I nuclei sono sostanzialmente due, da una parte Michele Placido e Margherita Buy alle prese con un figlio che non rispecchia il loro universo di riferimento (loro intellettuali, lui appassionato di musica, danza e Grande Fratello), dall'altra con un po' più di protagonismo Luciana Litizzetto e Silvio Orlando, genitori in costante litigio e poi separati che hanno a che fare con una figlia adolescente vogliosa di perdere la verginità e un figlio più piccolo, razzista e violento entrambi a modo proprio colmi di un forte disprezzo verso i genitori.
La visione del mondo proposta da Veronesi è quella in cui le colpe si tramandano di generazione in generazione, in cui il malessere e le cattive azioni dei figli sono da imputare alla cattiva aria che si respira a casa e la situazione sentimentalmente insicura dei genitori è da imputare ai nonni che conducevano una vita scapestrata e ugualmente destabilizzante. I nonni però, si sa è l'età, sono guardati con sguardo indulgente, poverini.
E' proprio questa ipocrisia che rispecchia quella della realtà quotidiana a suscitare il fastidio maggiore, la falsità di assolvere le categorie più benvolute (bambini e anziani) per affondare sui restanti restituendo un quadro per nulla obiettivo delle cose ma sentimentalmente ruffiano, che pretende di fare poesia inquadrando le foglie controluce con un dolly a salire e musica di sottofondo.
E' il forte senso di presa in giro molto poco raffinata, di truffa da mercatino all'aria aperta che impedisce di guardare con indulgenza un film che a tratti fa sorridere ma che rimane (come gran parte della produzione di Veronesi) spesso mal recitato e raccontato con eccessive lungaggini.
Se in Italians il momento più alto era costituito dalla scena in cui Castellitto fa rombare le Ferrari nel deserto (!!) qui si tratta di una nuotata a sfondo animalista che dovrebbe dimostrare tutto (il ribellismo giovanile a fin di bene, la presenza di ideali, la distanza dal mondo adulto, il possesso di un proprio universo simbolico di riferimento) e invece non mostra niente ma lo fa con musica trionfale di sottofondo.
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