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20.1.09

Revolutionary Road (id., 2008)
di Sam Mendes

Mi professo spesso "formalista" e come tale vengo attaccato, quindi un po' è un ruolo che mi sono ritagliato, in realtà le cose come sempre sono più complicate e Revolutionary Road mi ha messo alle corde. Chi l'avrebbe mai detto...
Io Sam Mendes non lo amo, ho visto solo American Beauty e mi ha fatto abbastanza schifo, tanto che non poi ho visto altro, in fondo non facevo questo lavoro e vedevo solo quello che mi piaceva (che tempi...). Non saprei dunque dire di eventuali cambiamenti di stile o evoluzioni ma... Questo film è un'altra cosa.

Che testo di partenza! Sapevo si trattava di un'opera fondamentale, la prima di Yates, scritta in un periodo (a cavallo tra anni '50 e '60) straordinario per la cultura statunitense, ma non immaginavo...
Pur non avendo letto il libro si comprende lo stesso lo straordinario lavoro di Mendes per portare in immagini la complessità (difficile a credersi) della storia raccontata. La linearità del racconto è disarmante, eastwoodiana (è stato già detto?) per come la minimale semplicità della messa in scena copre la barocca complessità dei significati e soprattutto per come si tratti (data la fedeltà al testo) di un racconto d'altri tempi, fatto di metafore esposte fin dal titolo che una volta avevano sicuramente più impatto di oggi (come ad esempio la figura del matto che in realtà capisce più di tutti la realtà perchè capace di pensiero divergente) ma che tuttavia funzionano. Funzionano!

La storia degli Wheeler, coppia giovane e borghese, serve a mettere in scena il più grande contrasto della società occidentale moderna, quello per il quale il benessere di massa sia tale per tutti.
D'un tratto i figli hanno potuto raggiungere facilmente le cose per le quali i padri avevano lottato una vita, solo che non sapevano più se lo volevano o meno. E tale contrasto è il medesimo dell'era moderna, quello tra l'assuefazione (e in certi casi l'aspirazione) alla medietà di un'esistenza borghese e l'insaziabile desiderio di straordinarietà di ognuno.

Nel film sembriamo partecipare del dolore e del senso di disaffezione di una coppia intrappolata nel medesimo imbuto di tutti gli altri ma molto lentamente si comprende come in realtà il film sia realmente sul dolore di una donna, come la trappola sia in realtà solo la sua. Un personaggio si adagia e si adegua alla medietà ed uno continua a soffrirne. Da questo distacco Mendes riesce a trarre tutto il senso del film con espedienti di regia classici incastrati in un impianto moderno (basta vedere l'uso della colonna sonora).

Peccato per il sottofinale girato con un tono completamente diverso rispetto al minimalismo del resto del film. Pieno di inutili sottolineature, di facili morali, di inquadrature ad effetto ed un carrello in avanti proprio sulla chiusura che più inadeguato, stupido e banale non si poteva fare. Eppure non rovinano un film capace davvero di "raccontare" nel senso più alto del termine, capace di parlare di modernità e di mettere lo spettatore di fronte alle sue contraddizioni con una sottigliezza e una forza raramente viste.
Più che un film straordinario, stavolta mi tocca dire una storia straordinaria messa in scena con la giusta funzionalità.

16 commenti:

dario ha detto...

Oh ecco. Senti, a me American Beauty mi era piaciuto tantissimo, però avevo 14 anni e mi stavo innamorando del cinema proprio in quel periodo.
Quindi probabilmente ho subito il fascino midcult, però ci sto talmente affezionato che anche a rivederlo ora non sono obiettivo. Mi dici secondo cosa fa schifo di quel film?

Comunque Era mio padre non era male, un gangster-noir fumettistico.


Anonimo ha detto...

mi accodo alla richiesta di dario. in che cosa american beauty fa schifo, secondo te? pure io lo vidi da piccolo e ovviamente rimasi colpito. ora come ora mi sembra solo una furba americanata condita di finto progressismo ipocrita, stronzatine new-age (la busta che vola..) e qualche trovata visiva copiata dal lynch anni 80. mille volte meglio una puntata di desperate housewives.


gparker ha detto...

sicuramente meglio una puntata di Deperate Housewives. Perchè la serie americana fa un'operazione colta senza averne le pretese. Su una trama sufficientemente banale e scontata e su un canovaccio rosa innesta attraverso gli strumenti del linguaggio audiovisuale riflessioni più importanti. I dialoghi servono a mandare avanti la trama ma il modo in cui sono scritti rivela le considerazioni, l'ironia che è profusa nell'orchestrare le situazioni fa da veicolo.

In American Beauty invece l'ordinario è elevato a straordinario e i facili colpi di scena (il padre autoritario e filomilitare poi gay) diventano profonde svolte drammatiche. Una profonda riflessione sul voyeurismo è fatta mostrando un ragazzo che riprende tutto e che è introverso e complicato.
La critica alla società americana avviene dichiarando ogni metafora e spiegando tutto per filo e per segno, senza mancare mai di sottolineare che si tratta di un'operazione raffinata.
American Beauty pretende di raggiungere il massimo facendo il minimo per dare l'illusione a chiunque di essere un intellettuale, promuove un'idea di cultura che è raggiungibile da pochi e ti dice "Tu sei fra quei pochi perchè hai capito le metafore elevate di questo film".
Desperate Housewives ti dice il contrario, cioè che fra lenzuola e panni stesi, tra infedeltà e bambini tutti possono compiere un ragionamento, basta volerlo e basta non fermarsi alle apparenze delle cose.

Per la cronaca anche a me (che tanto mi sembra di aver capito che abbiamo tutti la medesima età) il film piacque quando lo vidi e pensai: "Ammazza che intellettuale che so'!!"


Thomas Morton ha detto...

A me American Buty mi aveva fatto un po' schifo, specie per il finale mistico-consolatorio, ma pensa che oggi quando ci ripenso mi dico che in fondo non era affatto male.


el señor dionigi ha detto...

E pensare che io mi sentì ancora più intellettuale perchè la stessa settimana che vidi American Beauty -in cassetta, a casa- vidi anche Happiness di Todd Solondz -su telepiù- e pensai che era di un'altra categoria, o meglio, era lo stesso film però senza didascalie, senza note a piè di pagina, senza ammiccamenti, senza marketing, senza birignao, senza attori che recitavano male, senza evidenziatore passato sulle parole critica-alla-società-borghese-americana, senza finte trasgressioni, senza americanate, senza voler essere interessante per forza.

Comunque, è vero, American Beauty è il classico film che anche il pariolo che esce dal cinema, mette in moto l'audi tt, riscalda il sedile sotto le cosce della biondazza di turno, chiama l'amico per dirgli di ordinargli i tagliolini al limone, lascia le chiavi al posteggiatore del caminetto, si siede al tavolo, mentre fa tutto questo, si scopre capace di pensieri profondi.


gparker ha detto...

Un fulmine gli attraversa la mente mentre richiama i cani durante la caccia alla volpe.


Anonimo ha detto...

Dunque è meglio di American beauty secondo te. Siccome il film alla prima visione non non mi piacque affatto e alla seconda cominciò a convincermi ma non del tutto, magari questo potrà piacermi effettivamente. Vedremo...
Ale55andra


dario ha detto...

Ok, quindi midcult va bene come definizione. Un po' come i libri di Baricco, roba creata apposta per farti sentire intelligente.
Però cacchio, sai che il mio amore per il cinema nasce proprio da qui? Insieme a Truman Show, Shining e qualcos'altro che non ricordo.
Oh beh, ognuno parte da dove può. :D


gparker ha detto...

Meglio di american beauty ci vuole poco...

Si alla fine poco importa da dove parti basta che parti.
In un film, indipendentemente da quale sia, poi conta quello che ci vedi tu, altrimenti non avrebbero senso tutti gli studi sul cinema popolare e sul trash. Basta sapere che cosa stai guardando.


Giangidoe ha detto...

In effetti, anche io sono fra quelli che ha cominciato ad appassionarsi seriamente di cinema nel periodo con American Beauty e Magnolia e ha cominciato a leggere un pò di più con Baricco e Pennac. Ma mentre, col tempo, di Baricco ho imparato a conoscere la componente furbetta e snob, di American Beauty conservo ancora un buon ricordo. Probabilmente perchè non l'ho mai rivisto, chissà.
Ma mentre i film successivi di Mendes non mi hanno entusiasmato, P.T.Anderson ho continuato ad adorarlo anche dopo.
Anche per questo ci sarà un motivo...


gparker ha detto...

io invece all'inizio magnolia non lo capii, nel senso che non riuscivo a capire se fosse davvero un capolavoro o solo un bel film. Ero proprio interdetto.
Ci sono voluti anni per concludere che è un vero capolavoro.


Anonimo ha detto...

quindi è assodato: i cinefili venti-trentenni di oggi sono partiti tutti da lì, happiness-americanbeauty-magnolia.


Anonimo ha detto...

American Beauty molto bello, Era Mio Padre niente di che...


Anonimo ha detto...

Non c'è pure un film di guerra?


dario ha detto...

Frankie: Sì, jarhead, non l'ho visto.

Parker: buffo, a me Magnolia mi fece innamorare (stesso periodo), però ora lo trovo molto di maniera sotto alcuni aspetti.

Skellington: cavolo, sì, dovremmo farci qualche riflessione sopra!! Soprattutto chiedersi: questa identità di inizio ha una qualche ripercussione nei gusti generazionali (sempre che esistano)?


gparker ha detto...

sicuramente il piede con cui inizi un'impronta te la dà.
Ad ogni modo io ho iniziato in quel periodo ma non con i film al cinema (non conoscevo molta gente che ne venisse a vedere di interessanti con me).
La mia vita è cambiata dopo la visione quasi casuale di Metropolis e quindi sono partito con tutto l'espressionismo. Per anni interi non sono quasi andato al cinema se non per i soliti blockbuster, infatti sul cinema di fine anni '90 inizio 2000 ho un buco pazzesco che ora mi fa penare perchè di molti autori emersi in quel periodo non conosco i film fondamentali.


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