Vanno forte le commedie culinarie e quelle sulla vita omosessuale un po’ in tutte le cinematografie europee (la nostra non fa eccezione) e di certo la Spagna non rimane indietro essendo uno dei paesi culinariamente più interessanti e tra i più avanzati sul tema dei diritti civili delle coppie omosessuali.
Fuori Menù però guarda molto anche alla struttura e ai ruoli fissi della commedia americana. Il tema dell’omosessualità e delle nuove famiglie infatti si innesta su personaggi in cerca di paternità e l’uso che viene fatto dei tormentoni e delle maschere fisse (l’inaffidabile, la passionale, gli anziani…) è decisamente figlio della commedia sofisticata classica, che divide i personaggi e assegna loro diverse funzioni all’interno del meccanismo drammaturgico.
Il risultato è tollerante quanto basta, autoironico (nel senso di ironico con il tema che vuole assolvere) quanto basta e divertente quanto basta. Non distribuisce colpe, non parla mai di omofobia (cosa decisamente particolare!) e non assolve genericamente le coppie omosessuali mostrando al contrario contraddizioni e possibili soluzioni di situazioni intricate e paradossali (il protagonista prima di scoprirsi gay ha avuto un matrimonio e due figli che si è sempre rifiutato di vedere).
Si ride abbastanza specialmente nel finale e specialmente grazie a Fernando Tejero e caratteristi formidabili di lungo corso come Chus Lampreave.
Se si volesse fare un confronto tra questo tipo di film e i nostri equivalenti non ne usciremmo con i bozzi, anzi. Seppure indietro dal punto di vista di ciò che viene mostrato (ma del resto anche a livello legale siamo indietro sulla materia) le commedie nostrane che cominciano ad integrare il tema dell’accettazione e dell’introiettamento nella quotidianità delle coppie omosessuali sono ugualmente divertenti e più in linea con la nostra tradizione nazionale. Un retaggio decisamente più pesante e ineludibile nel nostro caso che in quello spagnolo, per il quale il precedente di cui non si può fare a meno in materia è unicamente Almodovar e, per l’appunto, non ne fanno a meno.
Fuori Menù però guarda molto anche alla struttura e ai ruoli fissi della commedia americana. Il tema dell’omosessualità e delle nuove famiglie infatti si innesta su personaggi in cerca di paternità e l’uso che viene fatto dei tormentoni e delle maschere fisse (l’inaffidabile, la passionale, gli anziani…) è decisamente figlio della commedia sofisticata classica, che divide i personaggi e assegna loro diverse funzioni all’interno del meccanismo drammaturgico.
Il risultato è tollerante quanto basta, autoironico (nel senso di ironico con il tema che vuole assolvere) quanto basta e divertente quanto basta. Non distribuisce colpe, non parla mai di omofobia (cosa decisamente particolare!) e non assolve genericamente le coppie omosessuali mostrando al contrario contraddizioni e possibili soluzioni di situazioni intricate e paradossali (il protagonista prima di scoprirsi gay ha avuto un matrimonio e due figli che si è sempre rifiutato di vedere).
Si ride abbastanza specialmente nel finale e specialmente grazie a Fernando Tejero e caratteristi formidabili di lungo corso come Chus Lampreave.
Se si volesse fare un confronto tra questo tipo di film e i nostri equivalenti non ne usciremmo con i bozzi, anzi. Seppure indietro dal punto di vista di ciò che viene mostrato (ma del resto anche a livello legale siamo indietro sulla materia) le commedie nostrane che cominciano ad integrare il tema dell’accettazione e dell’introiettamento nella quotidianità delle coppie omosessuali sono ugualmente divertenti e più in linea con la nostra tradizione nazionale. Un retaggio decisamente più pesante e ineludibile nel nostro caso che in quello spagnolo, per il quale il precedente di cui non si può fare a meno in materia è unicamente Almodovar e, per l’appunto, non ne fanno a meno.
10 commenti:
poi si scopre che il fornaio o il focacciaro molesta tutte le donne che assume e le paga meno, mentre da mac non lo fanno...evia dicendo, bellis ti valori locali, sto attaccamento al local a prescindere...e magari infibuliamo le bimbe perche e' "local", che bello, mica volessimo mandarle ad una orrenda scuola di inglese che imperversa ovunque e ti permette di sapere cose su tutto il mondo...che stronzata sarebbe...a casa chiusi tutti e parliamo solo in dialetto per carita'...sta modenrita' che ci corrompe...se continuiamo cosi finisce che la gente cambia e noi non possiamo piu assumere tutta la nostra famiglia in comune per che protestano, i nuovi locali/globai, che in svezia andremmo tutti in galera se ci provassimo...oh no per carita', mon dieu
credo che questo commento fosse per il post di Focaccia Blues...
la difesa della "modernità" a prescindere (senza tener conto di quello che si rischia di perdere), spesso è fastidiosa, arrogante e dogmatica quanto la conservazione del passato a tutti i costi
no, come la conservazione del passato non c'è nulla.
forse. ma la glorificazione positivista e acritica del nuovo, del “global” e del tecnologico, e l’atteggiamento snobistico che si accompagna a questa glorificazione, spesso mi causano altrettanta ripulsa del conservatorismo idiota dei tanti che vorrebbero vivessimo ancora nel medioevo o mettessimo il burka alle donne. sarà banale, ma trovo ancora che molto di quello che si perde col “cammino della storia” non sempre sia adeguatamente compensato da quello che si guadagna.
io non credo che le cose importanti davvero si perdano.
Esiste come una selezione darwiniana, le cose importanti rimangono necessariamente perchè ancora utili e ciò che invece è inutile e superato viene accantonato e diventa materia storiografica.
Ciò che era considerato "tradizione" 100 anni fa non esiste più oggi e ciò che era "modernità" 100 anni fa oggi è la tradizione.
Ne sei così sicuro?
Il discorso di importane/non importante=utile/inutile mi sembra un po' rischioso
credo molto nell'armonia sociale, cioè nel fatto che dal caos delle società civili emerga un ordine dato dalla necessità e che tale necessità selezioni autonomamente un percorso evolutivo, cioè la direzione che una civiltà prende. Quella direzione corrisponde a cosa decide di tenere e cosa di perdere (qualcosa si deve perdere) per intraprendere un dato percorso. DA questo dipende quali tradizioni manteniamo e quali no.
Io non vedo nella storia qualcosa che abbiamo perso e di cui sentiamo la mancanza.
per jack, eh si, in effetti in italia soffriamo proprio di questo problema di accettazione acritica della modernita', della tecnologia e dei prodotti della globalizzazione...oddio...magari la focaccia sara' una di quelle cose che rischiamo di perdere ma...francamente rispetto a quello che rischieremo di guadagnare mi sembra un po pochino...che ne so cose tipo che se uno fa falso in bilancio lo mettono in galera, se uno ha un enorme conflitto di interessi la gente n on lo vota, tipo che i soldi della PA sono in rete e tutti possono capire come vengono spesi...non lo so jack tu che cosa vorresti conservare gelsamente oltre le fettuccine, armani e l'artigianato e cazzate simili?
no mi prudono le dita, tipo che in italia il papa dice che il preservativo e' dannoso contro la lotta all'aids e, che ne so io, una categoria a caso, i giornalisti, oppure che ne so i medici importanti, non lo prendono "metaforicamente" a calci nel culo sulle prime pagine dei quotidiani per una settimana...oppure che non sipuo regolamentare il fine vita, dimensione nella quale tutti cattolici e non sembrano essere piu o meno in accordo che se uno decide di crepare (non di ammazzarsi) lo puo fare, ma in italia tradizione impone che i politici fanno orecchie da mercanti e calano le braghe...e allora forse io un paio di cosette le perderei per liberarmi di queste, forse addirittura sarei disposto a perdere un po di volemose bene o di familismo ...non so jack te quale cambio avevi in mente con la modernita' ne quale avremmo perso cosi tanto? dimmi sono tutto orecchie
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