Dopo alcune parentesi tristi sulle quali è meglio sorvolare Marco Risi torna a fare quel cinema per il quale si era fatto notare agli inizi della sua carriera: impegno sociale misto a tecnica cinematografica.
Fortapàsc è davvero pieno di belle idee, guarda tanto a Scorsese per il modo in cui riprende i criminali, per l'uso della musica e per i vorticosi movimenti di macchina che fanno iniziare le scene, ma sa anche trovare moltissime soluzioni personali e particolari mai fini a se stesse.
Belle l'idea dello schiaffo che viene dal nulla per dare l'idea della minaccia invisibile e della solitudine di Siani. Bella l'idea del dialogo con nessuno ad un certo punto e anche l'alternarsi di alto e basso sia a Napoli che a Torre Annunziata.
Le similitudini che si possono intravedere con Gomorra poi non sono mai imitazione ma semmai frutto del fatto che il direttore della fotografia è il medesimo (Marco Onorato). E questo è un altro pregio. Risi non cerca di copiare quello che potrebbe sembrare come il punto di riferimento ma percorre le strade che sa di saper battere in autonomia.
Non scade nemmeno nell'agiografia, cosa inusuale in un film che ricostruisce la vita di un martire della lotta alla Camorra. Il suo Giancarlo Siani non sembra la classica figura realmente esistita ma un vero personaggio da film.
Peccato che però a fronte di tante cose buone poi l'impressione generale sia molto scollata, come se le singole istanze non riuscissero a diventare parte di un tutto armonioso. La storia d'amore su cui molto si insiste non convince mai, il sentimentalismo del rapporto con l'amico drogato nemmeno e così rimane solo la paura crescente nel finale per la morte imminente (annunciata subito ad inizio film).
Sono probabilmente i personaggi a non convincere molto, a non coinvolgere proprio. A fronte di un racconto impeccabile e di tanta buona volontà poi però le figure agite nelle scene sembrano impalpabili. A poco serve l'impegno di Libero De Rienzo (cento volte migliore come attore che come autore) e l'impiego di straordinari caratteristi come Ernesto Mahieux o delle facce da Camorra chiamate a fare i mafiosi.
Fortapàsc è davvero pieno di belle idee, guarda tanto a Scorsese per il modo in cui riprende i criminali, per l'uso della musica e per i vorticosi movimenti di macchina che fanno iniziare le scene, ma sa anche trovare moltissime soluzioni personali e particolari mai fini a se stesse.
Belle l'idea dello schiaffo che viene dal nulla per dare l'idea della minaccia invisibile e della solitudine di Siani. Bella l'idea del dialogo con nessuno ad un certo punto e anche l'alternarsi di alto e basso sia a Napoli che a Torre Annunziata.
Le similitudini che si possono intravedere con Gomorra poi non sono mai imitazione ma semmai frutto del fatto che il direttore della fotografia è il medesimo (Marco Onorato). E questo è un altro pregio. Risi non cerca di copiare quello che potrebbe sembrare come il punto di riferimento ma percorre le strade che sa di saper battere in autonomia.
Non scade nemmeno nell'agiografia, cosa inusuale in un film che ricostruisce la vita di un martire della lotta alla Camorra. Il suo Giancarlo Siani non sembra la classica figura realmente esistita ma un vero personaggio da film.
Peccato che però a fronte di tante cose buone poi l'impressione generale sia molto scollata, come se le singole istanze non riuscissero a diventare parte di un tutto armonioso. La storia d'amore su cui molto si insiste non convince mai, il sentimentalismo del rapporto con l'amico drogato nemmeno e così rimane solo la paura crescente nel finale per la morte imminente (annunciata subito ad inizio film).
Sono probabilmente i personaggi a non convincere molto, a non coinvolgere proprio. A fronte di un racconto impeccabile e di tanta buona volontà poi però le figure agite nelle scene sembrano impalpabili. A poco serve l'impegno di Libero De Rienzo (cento volte migliore come attore che come autore) e l'impiego di straordinari caratteristi come Ernesto Mahieux o delle facce da Camorra chiamate a fare i mafiosi.
10 commenti:
però bel cast.
Ho visto l'ultimo eden. Molto carino, molto chaplin e un pochino fellini. All'inizio mi dava l'idea di un film di 30 anni fa, ma alla fine non ne sono più convinto, ho notato una tale commistione di idee da sembrarmi un prodotto ben moderno...
Si vede, mi permetto di dire, molto bene quali sono le tipologie di film che vede Costa Gavras...
Si, stavo pensando anche io che il cast non è affatto male. Sicuramente andrò a vederlo, se arriva...
Alessandra
dovrebbe arrivare la distribuzione non è di quelle minuscole.
Vuoi dire Verso L'eden no?
Si anche io lo trovo molto moderno, gran ritmo, ben raccontato e poi ho apprezzato tanto la parte in città, quasi più caotica di quella fuori e la sua spregiudicatezza nel perseguire il suo obiettivo.
La cosa bella è che si vede come un maestro come Costa Gavras ha bisogno di pochissimo per raccontare una storia dai toni agrodolci...
quando lui piange alla fine è un momento altissimo.
Io amo queste regie quasi invisibili, apparentemente lente, tranquille e inesistenti, che poi però non è vero perchè si vede che c'è un idea dietro di un regista che riesce a rendere significative immagini molto semplici.
concordo al 100%
che poi la verità è che sono il 90 % delle regie...
Se ci pensi solo gli americani riempiono i film di effetti, o di montaggi tali da depersonalizzare completamente la regia...
Uno dei picchi massimi è stato in La Sottile Linea Rossa in cui Mallick riprendeva una prateria in silenzio e si sentiva palesemente il suono dell'erba spostata dal vento... Miyazaki deve aver sbroccato per una cosa simile...
beh non sono daccordo spesso sono solo fintamente invisibili.
Gli europei usano molta macchina a mano che spesso risulta in una sovraesposizione dei registi, usano espedienti di racconto particolari, sperimentano di più.
Storicamente l'invisibilità è americana. poi dalla generazione scorsese in poi c'è stata invece una maggiore sottolineatura autoriale anche ad hollywood.
c'hai ragione, ho parlato troppo in fretta.
E tutta colpa di Godard.
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