La Nana arriva da noi dopo aver raccattato premi un po' ovunque (su tutti Torino e Sundance) ed è il classico film girato con macchina a spalla molto mobile, digitale ad alta risoluzione e piani sequenza sempre un passo dietro la protagonista. Niente colonna sonora se non i rumori ambientali, tutto in presa diretta e la ferma volontà di fare cinema "stretto", di volti e non di ambienti (che infatti sono per il 90% la casa dove vive la famiglia protagonista).
Al centro di tutto non c'è una donna di bassa statura, come pensavo io nella mia ignoranza, ma una governanta o forse sarebbe meglio dire "tata" (da cui "nana"), una di quelle donne di servizio che vivono nella casa della famiglia per cui lavorano con una propria stanza e compiti che spaziano dal pulire al cucinare al badare ai bambini (maschio e femmina adolescenti, più altri due più piccoli).
La Nana del titolo è in famiglia da molti anni, circa 20, ed è dunque diventata "una di famiglia" nel senso più perverso del termine, cioè ha sviluppato affetti, preferenze e relazioni che però non sono ricambiati alla stessa maniera ma solo fintamente. Per lei il mondo finisce in quella casa per gli altri no. Perchè alla fine della fiera loro sono una famiglia e lei è una donna di servizio stipendiata.
Quindi quando la famiglia decide di affiancarle un'altra ragazza che le dia la mano, scattano le ripicche e i "dispetti" dell'imbecille titolo italiano che mettono in mostra un universo sentimentale terribile e, nel finale, sorprendentemente profondo.
Senza inventarsi nulla formalmente Sebastian Silva racconta l'abbrutimento umano, attraverso ironia, suspense e una giusta dose di sentimentalismo, riuscendo (nel finale) a sganciare la vicenda dalla contingenza (cioè il rapporto famiglia/donna di servizio) per proiettarla più in generale nel mondo delle pulsioni umane.
Il suo modo sconnesso di raccontare la quotidianità e i rapporti è sorprendente per la minuzia certosina con cui è applicato, merito anche dell'ottimo lavoro fatto con la protagonista Catalina Saavedra, i suoi piccoli scambi con il figlio maggiore (il suo preferito) sono dei gioielli di recitazione e messa in scena, dai quali traspare in controluce e attraverso minuscoli particolari, tutta la perversione di quell'affetto assieme a paradossali pulsioni ancestrali (materne, femminili e sessuali).
E se Silva è così intelligente da trovare molti momenti di sommessa ironia (l'arrivo dell'energica aiutante consigliata dall'algida nonna) in un racconto tragico, ha anche la spietatezza giusta per non empatizzare con i suoi protagonisti e assolverli magnamimente ma li lascia in balia delle loro infami mestizie e piccolezze.
Al centro di tutto non c'è una donna di bassa statura, come pensavo io nella mia ignoranza, ma una governanta o forse sarebbe meglio dire "tata" (da cui "nana"), una di quelle donne di servizio che vivono nella casa della famiglia per cui lavorano con una propria stanza e compiti che spaziano dal pulire al cucinare al badare ai bambini (maschio e femmina adolescenti, più altri due più piccoli).
La Nana del titolo è in famiglia da molti anni, circa 20, ed è dunque diventata "una di famiglia" nel senso più perverso del termine, cioè ha sviluppato affetti, preferenze e relazioni che però non sono ricambiati alla stessa maniera ma solo fintamente. Per lei il mondo finisce in quella casa per gli altri no. Perchè alla fine della fiera loro sono una famiglia e lei è una donna di servizio stipendiata.
Quindi quando la famiglia decide di affiancarle un'altra ragazza che le dia la mano, scattano le ripicche e i "dispetti" dell'imbecille titolo italiano che mettono in mostra un universo sentimentale terribile e, nel finale, sorprendentemente profondo.
Senza inventarsi nulla formalmente Sebastian Silva racconta l'abbrutimento umano, attraverso ironia, suspense e una giusta dose di sentimentalismo, riuscendo (nel finale) a sganciare la vicenda dalla contingenza (cioè il rapporto famiglia/donna di servizio) per proiettarla più in generale nel mondo delle pulsioni umane.
Il suo modo sconnesso di raccontare la quotidianità e i rapporti è sorprendente per la minuzia certosina con cui è applicato, merito anche dell'ottimo lavoro fatto con la protagonista Catalina Saavedra, i suoi piccoli scambi con il figlio maggiore (il suo preferito) sono dei gioielli di recitazione e messa in scena, dai quali traspare in controluce e attraverso minuscoli particolari, tutta la perversione di quell'affetto assieme a paradossali pulsioni ancestrali (materne, femminili e sessuali).
E se Silva è così intelligente da trovare molti momenti di sommessa ironia (l'arrivo dell'energica aiutante consigliata dall'algida nonna) in un racconto tragico, ha anche la spietatezza giusta per non empatizzare con i suoi protagonisti e assolverli magnamimente ma li lascia in balia delle loro infami mestizie e piccolezze.
10 commenti:
Ma infatti il titolo italiano è veramente abominevole...chissà se riuscirò a vederlo comunque.
Ale55andra
io un giorno farò un'inchiesta tipo Report sui titolisti. Intervistandoli tutti. Da quello che ha partorito Semi lasci ti cancello a quello che ha fatto Il Petroliere fino a quello di Il Piacere e L'Amore. A meno che non siano la stessa, diabolica, persona.
BA-TTER-FLA-I!
BA-TTER-FLA-I!
sono il primo a rosicare di questa cosa ma non l'ho visto, sono anche arrivato fino alla sala per la proiezione (giuro! ho i testimoni) ma proprio arrivato lì mi hanno chiamato per un impegno di un altro lavoro e me ne sono dovuto andare.
E così non l'ho visto. Ecco.
NOOOOO! Anch'io non sono potuta andare... e attendevo il tuo resoconto... Dannazione!
FLAVIA
rosico tantissimo
questo
è
imperdonabile.
Te li pago io 'sti 7 euro.
altrimenti che ci stanno a fare i critici cinematografici.
Dammi l'iban e provvedo.
lo so
lo so
non credere che io non senta il senso di colpa bruciare dentro me!
Io ieri mi sono fatta del male e ho guardato il trailer on-line.. Mammamia come rosico!
Flavia.
gran ficata
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