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15.1.08

La Famiglia Savage (The Savages, 2007)
di Tamara Jenkins


Se il Torino Film Festival si vuole configurare come il Sundance di noialtri è sulla buona strada e La Famiglia Savage è una delle tante prove. Non che sia un male. Basta saperlo.
Girato con indubbia abilità e anche un certo gusto estetico per la composizione delle inquadrature e la scelta dei colori, il film di Tamara Jenkins ha tutti i pregi e soffre di tutti i difetti dei film Sundance, è cioè accattivante e ruffiano al tempo stesso.
Proponendosi di raccontare "l'altra america", quella dei perdenti, dei normali contrapposti ai perfettini (molto bella in questo senso la scena dell'arrivo dei due fratelli nella riunione in cui si spiega come trattare con i genitori in degenza), delle persone che compiono di continuo mille errori ma sono pieni di sentimenti veri e autentici, che sbagliano e cercano di convivere con i loro errori, La Famiglia Savage è un campionario di arruffianamenti.
Per usare una metafora si potrebbe dire che in questo tipo di film i personaggi non smettono di fumare ma semmai cominciano. Sono cioè indubitabilmente umani e fallaci e non fanno nulla per cercare di essere migliori, anzi trovano un equilibrio nella loro umanità, rispecchiando così la realtà del pubblico, ma proponendolo in una chiave affascinante.
Non si tratta dei perdenti di Cous Cous, effettivamente ai margini di tutto, ma di perdenti che lo sono solo secondo i canoni imposti dalla società e non per lo spettatore che invece li vede in qualche modo vincenti lo stesso perchè simpatici, buffi e autenticamente sofferenti.

Stimolando un'identificazione a partire dalla glorificazione della normale fallacità, questo genere di film è terribilmente autoconsolatorio e invece che puntare il dito o mettere la lente su qualcosa che lo merita mira a rassicurare il pubblico dicendogli: "Vedete? Anche se fallite tutto e avete mille problemi e la vostra famiglia sembra un circo siete comunque affascinanti! Il vostro stato è comunque desiderabile".
E' un passaggio indubbio dal tipico eroe della commedia americana (anche quando è amara come in questo caso), ma non grande quanto sembri. Alla fine il risultato rimane l'happy end, anche se i problemi non saranno risolti sappiamo che tutti si vorranno bene e il maggiore realismo promesso dal film rimarrà una chimera. A riprova di questo gli attori coinvolti anche quando famosi non sono mai dei veri belli ma dei tipi affascinanti dei quali vengono realisticamente mostrati i difetti fisici (pancia, smagliature, un po' di rughe) ma che però poi sono sempre lo stesso sessualmente desiderabili per altri motivi e più della gente reale.

Certo non si può trascurare che nonostante tutto il film riesca bene a rendere il desiderio d'amore, la difficoltà nel gestire i sentimenti e nel comunicarli (ci sono a questo proposito un paio di scene molto toccanti e non banali), ma occorre rendersi conto che se il film vince è perchè bara. E perchè c'è Philip Seymour Hoffman.
Dare un voto a questo film sulla cinebloggers connection sarà un'impresa.

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