FUORI CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2011
I pervertiti di questo blog sanno che ho una passione insana per il cinema di Ermanno Olmi anche se per tanti versi contraddice moltissime delle cose in cui credo. Ovviamente io in questo film, come solo un folle può fare, ci speravo.
Reduce da due documentari bellissimi come Terra Madre e Rupi del vino, Ermanno Olmi torna al cinema di finzione anche se aveva detto di averci rinunciato. Peccato, perchè quel capolavoro di cinema vero che è Centochiodi era una chiusa perfetta.
Invece con Il villaggio di cartone e la sua storiellina ina ina di immigrati clandestini nascosti in una chiesa sconsacrata e svenduta da un sacrestano, Olmi si allinea al peggio del nostro cinema "anziano". Inseguendo ossessioni da terza età, assillato da un simbolismo tanto diretto quanto stantio e trascurato come solo gli anziani registi italiani sanno essere, l'uomo che una volta diresse Il posto si piega alle derive della senilità.
Lo sforzo è infatti ai minimi storici in questa vicenda tutta svolta in un teatro di posa (ma se non altro lo è "palesemente"), fuori dal quale sembra infuriare la guerra vera e propria e che vuole a tutti i costi essere didascalica. Fino ad oggi Olmi era stato il massmio della didascalia a parole ma non nel cinema, questo travaso superfluo e non richiesto potevamo risparmiarcelo.
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