Gianni Di Gregorio è un collaboratore di lunga data di Matteo Garrone. Co-sceneggiatore di Gomorra e regista di seconda unità di tutti i suoi film da Ospiti in poi. E' importante precisarlo perchè Il Pranzo Di Ferragosto è un film con una fortissima impronta garroniana nel modo in cui è girato.
Se lo spunto di trama, l'approccio ironico e divertito, il tono micro da "cortometraggio" e soprattutto l'accompagnamento musicale sono quanto di più lontano ci possa essere dalla produzione cui ci ha abituato Matteo Garrone, invece la lavorazione e l'esperienza sul set viene al 100% da lì.
Le anziane protagoniste del film non sono attrici ma autentiche signore anziane che hanno recitato senza un copione e senza nemmeno concordare le battute con il regista (che era il metodo Truffaut), ma semplicemente dicendo quello che preferivano tenendo in mente l'obiettivo della scena in corso.
Il risultato di un metodo simile (di una difficoltà spaventosa da attuare) è un realismo differente dal solito che scavalca le fisiologicamente scarse capacità recitative dei (non) attori coinvolti per raggiungere una trasparenza nel dialogo e nell'interpretazione che sono molto rari e che soprattutto lasciano grandissimo spazio al resto.
Non è un caso che in tutti i film di Matteo Garrone non siano mai le parole o le frasi ad avere importanza. Non sono quelle a pesare come mattoni, ma le immagini e anche in Il Pranzo di Ferragosto, nonostante Di Gregorio non possieda l'occhio di Garrone (ma magari nemmeno gli interessa puntare su quello), porta da subito in primo piano lo scenario, la "situazione".
Nel caso specifico tale "situazione" è la condizione di un piccolo nucleo familiare (madre anziana e figlio) una volta molto benestanti ma ora costretti ad arrancare cercando di mantenere grande dignità in una Roma ferragostiana del centro (non ho riconosciuto precisamente la zona ma dall'architettura sembra Trastevere), una zona tradizionale fatta di dinamiche prettamente romanesche (il bicchiere di vino bevuto in strada, il pescetto pescato da consumarsi in serata e quella dimensione rilassata della vita), il "contesto che condiziona" a partire dal quale vanno fatte tutte le scelte individuali (altro classico del cinema garroniano).
In tale situazione si snoda la storia di affetto spicciolo e di quotidiana sopravvivenza. Un racconto volutamente "piccolo" (nel senso di dotato di poche pretese) che come spesso capita raccoglie più di quanto semini, senza però arrivare alle punte che con esagerazione si sostiene in giro.
Nonostante il paragone sia ingiusto il film non può non far pensare ad Estate Romana, altro bellissimo film di Matteo Garrone ambientato sempre in una Roma estiva (ma splendidamente ripresa soffermandosi su tutti i palazzi impacchettati per i lavori causa Giubileo imminente) e sempre all'insegna della descrizione di contesti fuori dal comune.
Se lo spunto di trama, l'approccio ironico e divertito, il tono micro da "cortometraggio" e soprattutto l'accompagnamento musicale sono quanto di più lontano ci possa essere dalla produzione cui ci ha abituato Matteo Garrone, invece la lavorazione e l'esperienza sul set viene al 100% da lì.
Le anziane protagoniste del film non sono attrici ma autentiche signore anziane che hanno recitato senza un copione e senza nemmeno concordare le battute con il regista (che era il metodo Truffaut), ma semplicemente dicendo quello che preferivano tenendo in mente l'obiettivo della scena in corso.
Il risultato di un metodo simile (di una difficoltà spaventosa da attuare) è un realismo differente dal solito che scavalca le fisiologicamente scarse capacità recitative dei (non) attori coinvolti per raggiungere una trasparenza nel dialogo e nell'interpretazione che sono molto rari e che soprattutto lasciano grandissimo spazio al resto.
Non è un caso che in tutti i film di Matteo Garrone non siano mai le parole o le frasi ad avere importanza. Non sono quelle a pesare come mattoni, ma le immagini e anche in Il Pranzo di Ferragosto, nonostante Di Gregorio non possieda l'occhio di Garrone (ma magari nemmeno gli interessa puntare su quello), porta da subito in primo piano lo scenario, la "situazione".
Nel caso specifico tale "situazione" è la condizione di un piccolo nucleo familiare (madre anziana e figlio) una volta molto benestanti ma ora costretti ad arrancare cercando di mantenere grande dignità in una Roma ferragostiana del centro (non ho riconosciuto precisamente la zona ma dall'architettura sembra Trastevere), una zona tradizionale fatta di dinamiche prettamente romanesche (il bicchiere di vino bevuto in strada, il pescetto pescato da consumarsi in serata e quella dimensione rilassata della vita), il "contesto che condiziona" a partire dal quale vanno fatte tutte le scelte individuali (altro classico del cinema garroniano).
In tale situazione si snoda la storia di affetto spicciolo e di quotidiana sopravvivenza. Un racconto volutamente "piccolo" (nel senso di dotato di poche pretese) che come spesso capita raccoglie più di quanto semini, senza però arrivare alle punte che con esagerazione si sostiene in giro.
Nonostante il paragone sia ingiusto il film non può non far pensare ad Estate Romana, altro bellissimo film di Matteo Garrone ambientato sempre in una Roma estiva (ma splendidamente ripresa soffermandosi su tutti i palazzi impacchettati per i lavori causa Giubileo imminente) e sempre all'insegna della descrizione di contesti fuori dal comune.
Nessun commento:
Posta un commento