Finalmente riesco a vedere il nuovo film di Kim Ki Duk, che ormai dopo il grande successo di Ferro3 viene distribuito con regolarità in Italia (o almeno a Roma).
Contrariamente al suo solito Kim fa un film pieno di dialoghi e accadimenti, questa volta non regnano i silenzi e le situazioni a sfondo poetico (più o meno riuscite) ma i dialoghi. Certo c'è qualche ammiccamento al suo stile, ma la predominanza sta alla parola.
Mentre però il soggetto è molto interessante, e usa il grimaldello della chirurgia estetica per parlare dei concetti di identità, riconoscibilità e omologazione (alla fine i cambiamenti di volto impediscono ai protagonisti di ritrovarsi e li confondono con la massa e anche con se stessi), non si può dire lo stesso della sceneggiatura che utilizza dialoghi e situazioni al limite del grottesco involontario.
Fortunatamente non si tratta del solito attacco al mondo delle chirurgie plastiche, tuttavia non c'è traccia di quel lirismo poetico, di quella rarefazione che funziona che avevamo ammirato in Ferro3?
La nostalgia per il capolavoro di Kim si fa ancora più forte in virtù dei piccoli richiami che lo stesso regista fa, sono infatti di Ferro3 le immagini che il protagonista monta con i suoi computer.
1 commento:
Il doppiaggio è discretamente ridicolo (ma nella media) il grottesco involontario è dato più che altro da alcune situazioni.
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