Nota da noi unicamente per il suo secondo capitolo (The Queen), la trilogia su Tony Blair scritta da Peter Morgan era iniziata nel 2003 sulla tv inglese con The Deal, diretto da Stephen Frears (che in tv aveva iniziato la sua carriera) e centrata sul sorpasso a sorpresa di Blair su Gordon Brown per le elezioni del 1997 e sul patto tra di due poi tradito dal primo ministro.
Nel secondo capitolo, spostato al cinema per evidenti motivi di richiamo del personaggio principale, si affrontava più che altro la figura della Regina anche se l'ottica era quella dello sguardo di Blair, un progressista che comprende le ragioni dei conservatori, empatizza con la corona e l'aiuta invece che godere del proprio successo.
Ora questo terzo capitolo affronta la special relationship tra il primo ministro inglese e Bill Clinton, a partire dai suoi viaggi dei primi anni '90, utili a studiare la strategia dei liberal americani (come ingraziarsi i conservatori e guadagnare elettorato), per poi passare ai loro sogni (Clinton che immagina almeno un decennio di governo di centro sinistra nei due più importanti paesi occidentali e di riflesso un'ondata progressista anche in molte altre nazioni), alla necessaria rottura dovuta agli scandali sessuali del presidente americano e all'inclinazione verso il successore di Clinton.
I film sono tutti e tre molto naive, ma con stile. Nei primi due lo stile è quello magistrale di Frears (The Queen ha dei momenti unici) mentre in questo terzo è la scrittura di Morgan a compensare le tantissime semplificazioni da romanzetto buone per affascinare con semplicità il pubblico (Blair che scopre dell'impeachment alla tv mentre spalma la marmellata per i bambini, Clinton che sveglia la moglie al mattino per confessare l'adulterio e via dicendo).
Morgan fa un ritratto complesso di Blair, non sembra amarlo ma ne capisce la portata rivoluzionaria, è un opportunista mascherato benissimo da idealista e soprattutto è affascinante, talmente affascinante da conquistare anche noi spettatori mentre tradisce gli amici.
Alla regia di Loncraine va il merito di un'unica intuizione, rubata a Vincere. Solo nel finale di questo terzo film, l'immagine dei filmati televisivi di Blair smette di essere quella di Michael Sheen e diventa il vero Tony. Dopo un processo lungo 3 film (diventare presidente, relazionarsi alla regina, relazionarsi all'America) si compie il percorso del laburista che a camp David si allea con il conservatore per eccellenza George W. Bush. A quel punto l'attore lascia il posto al vero Tony, il personaggio non è più immagine mediata dal regista ma mediata dai media tradizionali.
Nel secondo capitolo, spostato al cinema per evidenti motivi di richiamo del personaggio principale, si affrontava più che altro la figura della Regina anche se l'ottica era quella dello sguardo di Blair, un progressista che comprende le ragioni dei conservatori, empatizza con la corona e l'aiuta invece che godere del proprio successo.
Ora questo terzo capitolo affronta la special relationship tra il primo ministro inglese e Bill Clinton, a partire dai suoi viaggi dei primi anni '90, utili a studiare la strategia dei liberal americani (come ingraziarsi i conservatori e guadagnare elettorato), per poi passare ai loro sogni (Clinton che immagina almeno un decennio di governo di centro sinistra nei due più importanti paesi occidentali e di riflesso un'ondata progressista anche in molte altre nazioni), alla necessaria rottura dovuta agli scandali sessuali del presidente americano e all'inclinazione verso il successore di Clinton.
I film sono tutti e tre molto naive, ma con stile. Nei primi due lo stile è quello magistrale di Frears (The Queen ha dei momenti unici) mentre in questo terzo è la scrittura di Morgan a compensare le tantissime semplificazioni da romanzetto buone per affascinare con semplicità il pubblico (Blair che scopre dell'impeachment alla tv mentre spalma la marmellata per i bambini, Clinton che sveglia la moglie al mattino per confessare l'adulterio e via dicendo).
Morgan fa un ritratto complesso di Blair, non sembra amarlo ma ne capisce la portata rivoluzionaria, è un opportunista mascherato benissimo da idealista e soprattutto è affascinante, talmente affascinante da conquistare anche noi spettatori mentre tradisce gli amici.
Alla regia di Loncraine va il merito di un'unica intuizione, rubata a Vincere. Solo nel finale di questo terzo film, l'immagine dei filmati televisivi di Blair smette di essere quella di Michael Sheen e diventa il vero Tony. Dopo un processo lungo 3 film (diventare presidente, relazionarsi alla regina, relazionarsi all'America) si compie il percorso del laburista che a camp David si allea con il conservatore per eccellenza George W. Bush. A quel punto l'attore lascia il posto al vero Tony, il personaggio non è più immagine mediata dal regista ma mediata dai media tradizionali.
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