Davide Ferrario gira una commedia con musica come afferma nel sottotitolo e dotata di quegli spunti vagamente anarchici che spesso hanno tempestato i suoi film.
Si racconta di una regista teatrale (Kasia Smutniak che conferma di essere un'attrice vera, più vera di tante più quotate) chiamata ad organizzare uno spettacolo con i detenuti di una sezione sperimentale (per libertà concesse) del carcere di Torino. Siccome a regolare tali attività sono preti e suore il tema scelto è la Passione. Non troppo avvezza alla religione la regista comincia a stabilire un rapporto con i detenuti e a leggere il vangelo. Quello che esce fuori è una versione musicale e gioiosa della passione dove Gesù non è sottoposto a processo o giudizio e quindi non è crocefisso, anche perchè nessun detenuto vuole fare la parte dell'infame Giuda. La Chiesa non gradirà.
Leggere la trama del film purtroppo è molto meglio che guardarlo, perchè dall'idea che è alla base scaturiscono molte suggestioni interessanti e si intuisce un discorso sulla religione, il modo di intenderla e il modo con il quale penetra nelle nostre vite che poi ha poco sviluppo nel film.
Tutta Colpa di Giuda è un brutto film che dice cose interessanti. Dal punto di vista visivo Ferrario, che solitamente ci ha abituato a ottime idee, sembra ripiegarsi su scelte e soluzioni povere. Non riesce a rendere la vitalità di un musical e nemmeno a mostrare la clausura carceraria (se non nella primissima inquadratura).
E la novità (??) del digitale per penetrare la realtà attraverso interviste e domande schiette (?????) ai carcerati non è utile in questo senso.
La regista ossessionata dal comprendere davvero la Passione per metterla in scena, i carcerati (reali), la loro sete di libertà e i loro ragionamenti semplici condizionati dalla situazione ("Non ho capito, ma se è contro il carcere mi sta bene"), la Chiesa a indottrinare e aiutarli e la figura molto particolare del direttore, tutti concorrono a dare l'idea che la religione è la vera prigione perchè molto più castrante di quanto poi non sia il carcere reale.
Per Ferrario la religione è la vera prigione perchè vincola atteggiamenti, idee, supposizioni, ragionamenti e possibilità. Anche il direttore del carcere contrariamente al suo stereotipo è possibilista, media, tratta e in fondo non crede troppo nell'istituzione carceraria, mentre preti e suore non ammettono possibilità di fuga.
Ma tutto questo è reso su schermo senza la minima raffinatezza espressiva, senza sfumare ma sbattendo in faccia allo spettatore le peggiori convenzioni.
A mancare non è la solita apprezzabile libertà di messa in scena che si prende il regista, specialmente nel finale, quello che manca è invece una forma cinematografica in grado di portare praticamente sullo schermo quelle idee che la trama suggerisce.
Si racconta di una regista teatrale (Kasia Smutniak che conferma di essere un'attrice vera, più vera di tante più quotate) chiamata ad organizzare uno spettacolo con i detenuti di una sezione sperimentale (per libertà concesse) del carcere di Torino. Siccome a regolare tali attività sono preti e suore il tema scelto è la Passione. Non troppo avvezza alla religione la regista comincia a stabilire un rapporto con i detenuti e a leggere il vangelo. Quello che esce fuori è una versione musicale e gioiosa della passione dove Gesù non è sottoposto a processo o giudizio e quindi non è crocefisso, anche perchè nessun detenuto vuole fare la parte dell'infame Giuda. La Chiesa non gradirà.
Leggere la trama del film purtroppo è molto meglio che guardarlo, perchè dall'idea che è alla base scaturiscono molte suggestioni interessanti e si intuisce un discorso sulla religione, il modo di intenderla e il modo con il quale penetra nelle nostre vite che poi ha poco sviluppo nel film.
Tutta Colpa di Giuda è un brutto film che dice cose interessanti. Dal punto di vista visivo Ferrario, che solitamente ci ha abituato a ottime idee, sembra ripiegarsi su scelte e soluzioni povere. Non riesce a rendere la vitalità di un musical e nemmeno a mostrare la clausura carceraria (se non nella primissima inquadratura).
E la novità (??) del digitale per penetrare la realtà attraverso interviste e domande schiette (?????) ai carcerati non è utile in questo senso.
La regista ossessionata dal comprendere davvero la Passione per metterla in scena, i carcerati (reali), la loro sete di libertà e i loro ragionamenti semplici condizionati dalla situazione ("Non ho capito, ma se è contro il carcere mi sta bene"), la Chiesa a indottrinare e aiutarli e la figura molto particolare del direttore, tutti concorrono a dare l'idea che la religione è la vera prigione perchè molto più castrante di quanto poi non sia il carcere reale.
Per Ferrario la religione è la vera prigione perchè vincola atteggiamenti, idee, supposizioni, ragionamenti e possibilità. Anche il direttore del carcere contrariamente al suo stereotipo è possibilista, media, tratta e in fondo non crede troppo nell'istituzione carceraria, mentre preti e suore non ammettono possibilità di fuga.
Ma tutto questo è reso su schermo senza la minima raffinatezza espressiva, senza sfumare ma sbattendo in faccia allo spettatore le peggiori convenzioni.
A mancare non è la solita apprezzabile libertà di messa in scena che si prende il regista, specialmente nel finale, quello che manca è invece una forma cinematografica in grado di portare praticamente sullo schermo quelle idee che la trama suggerisce.
8 commenti:
ma sai che non sono così convinta di quell'idea di religione sotto? ne ho pure appena parlato con Ferrario. ed è stato lui stesso a non voler mettere in scena la clausura: corridoi e non gabbie, come ha voluto sottolineare. a me è piaciuta l'idea, m'è piaciuta la fattura sempre un passo prima del cinema, non mi sono piaciute molte altre cose (Smutniak così celebrata e poi mi spiegherete perché e Troiano che sembra la macchietta del napoletano), ma mi sono emozionata nel vedere il film in carcere coi detenuti. non posso darne un giudizio totalmente lucido, ma nemmeno voglio (ci sono cose che vanno al di là del cinema)
che non abbia voluto rappresentare la clausura del carcere mi solleva, ma in generale lo citavo come esempio del "non passa niente".
Per l'idea di religione posso dire che al di là di quali possano essere state le sue intenzioni a me sembra che quello sia ciò che passa.
In fondo il carcere non è così chiuso e il direttore non è il solito meschino, anzi. Lei rilegge il vangelo e ne propone un'interpretazione ideale e invece tutte le figure ecclesiastiche tarpano le ali in una direzione chiusa e dogmatica.
Il "perchè si e basta".
ma più che una direzione chiusa e dogmatica mi sembra (e me l'hanno confermato gli stessi Ferrario e Littizzetto) di una direzione chiusa e pratica. del tipo "ragà, qua c'è da fare, non cominciamo a mettere tutto in discussione sennò non se ne esce più".
quello sicuramente, però questo pragmatismo non esclude il dogma, il vero strano vincolo della chiesa è che poi è l'unica istituzione che fa queste ad un livello "industriale" cioè con metodo e in quasi tutti gli ambiti del sociale, dalle prigioni agli orfanotrofi.
Così facendo evangelizza ancora di più (anche se come mostra il film no sempre con efficacia) e tira fuori la concorrenza. E' una dinamica molto intelligente che maschera l'indottrinamento dietro la solidarietà che comunque c'è.
beh, è il mestiere delle chiese, no?
senza dubbio.
Indubbiamente la questione religiosa è affrontata un po' troppo apertamente, in dialoghi esplicativi che non sono molto "cinematografici", che cozzano un po' con altre buone intuizioni della messa in scena dello spettacolo-musical. Però in fin dei conti a me va di promuoverlo il film. nche se poteva essere qualcosa in più.
La Smutniak è davvero brava.
si la smutniak è proprio forte
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