Ecco io allora ve lo dico. A me La solitudine dei numeri primi è proprio piaciuto. Se n'è parlato malissimo in lungo e in largo e il film ha anche incassato decisamente sotto le aspettative, cosa che faceva presagire il peggio. Non solo. Dopo un attento studio (su Wikipedia) della storia com'era narrata nel libro è evidente che sono stati saltati passaggi fondamentali per la definizione dei personaggi (perchè non viene spiegato che fine fanno le foto del matrimonio?), che è stato allungato il brodo in momenti che forse meritavano maggior asciuttezza (per l'appunto la fase del matrimonio a tre quarti film) e soprattutto che il finale (quasi doppio per come sembra finire una volta e poi continuare dopo il nero) è lungo e non richiesto. Ma viva la faccia!
Film imperfetto, ridondante e spesso un po' prolisso La solitudine dei numeri primi (ma non sono più "primi" se avete cambiato la storia in questa maniera!!) è di gran lunga il miglior film italiano passato a Venezia. Il suo passo, le sue idee visive, il controllo che Saverio Costanzo ha di una storia che sceglie di articolare andando continuamente avanti e indietro nel tempo, sono da applausi.
Se si fa fatica a seguire la trama (perchè entrambi i padri negli anni '80 devono avere i baffi complicando tutto?? Perchè la protagonista da adolescente somiglia alla sorella del protagonista da bambina??) non si fa certo fatica a venire colpiti dalle emozioni, che anzi pescano nel bacino più recondito delle sensazioni ancestrali. Non sono mai le parole a parlare in La solitudine dei numeri primi ma le immagini, e non sono nemmeno le immagini in sè a parlare, ma il loro complesso, ovvero la loro articolazione secondo una struttura drammaturgica ben studiata. Che poi sarebbe il cinema, ma che sappiamo non essere la regola. Specie nel nostro di cinema.
Al caos narrativo dato da un adattamento decisamente non felice della trama del libro fa da contraltare un profluvio di idee di messa in scena mai banali e decisamente non comuni. Riprendere l'infanzia con toni da cinema horror anni '70, soffermarsi su elementi espressivi significativi di una generazione come i tragici cartoni giapponesi (peccato siano stati ridisegnati per l'occasione), adottare un filtro che non disdegna di sporcarsi le mani con il melò quando serve (operando un salto linguistico a partire dall'horror che ha del sublime per come è delicato), al fine di raccontare la storia di due autentici e non comuni disperati è non solo audace ma anche funzionante!
Quand'è l'ultima volta che vi siete commossi perchè della musica pop (per di più anni '80!) sale nel momento in cui ai due protagonisti, ormai sul fondo del barile, forse viene data una speranza di felicità conquistata con foga in un momento puntuale? Ecco a me era da tanto che non capitava.
Saverio Costanzo è migliore di tanti, tantissimi nostri altri autori che magari fanno film meglio riusciti perchè ha capito, in ultima analisi, a che serve questa cosa che chiamiamo cinema, come lo si usa e per quale finalità. E ha l'audacia di marciare a grandi falcate verso quello scopo. Che poi qualche film possa avere dei difetti passa in secondo piano.
Film imperfetto, ridondante e spesso un po' prolisso La solitudine dei numeri primi (ma non sono più "primi" se avete cambiato la storia in questa maniera!!) è di gran lunga il miglior film italiano passato a Venezia. Il suo passo, le sue idee visive, il controllo che Saverio Costanzo ha di una storia che sceglie di articolare andando continuamente avanti e indietro nel tempo, sono da applausi.
Se si fa fatica a seguire la trama (perchè entrambi i padri negli anni '80 devono avere i baffi complicando tutto?? Perchè la protagonista da adolescente somiglia alla sorella del protagonista da bambina??) non si fa certo fatica a venire colpiti dalle emozioni, che anzi pescano nel bacino più recondito delle sensazioni ancestrali. Non sono mai le parole a parlare in La solitudine dei numeri primi ma le immagini, e non sono nemmeno le immagini in sè a parlare, ma il loro complesso, ovvero la loro articolazione secondo una struttura drammaturgica ben studiata. Che poi sarebbe il cinema, ma che sappiamo non essere la regola. Specie nel nostro di cinema.
Al caos narrativo dato da un adattamento decisamente non felice della trama del libro fa da contraltare un profluvio di idee di messa in scena mai banali e decisamente non comuni. Riprendere l'infanzia con toni da cinema horror anni '70, soffermarsi su elementi espressivi significativi di una generazione come i tragici cartoni giapponesi (peccato siano stati ridisegnati per l'occasione), adottare un filtro che non disdegna di sporcarsi le mani con il melò quando serve (operando un salto linguistico a partire dall'horror che ha del sublime per come è delicato), al fine di raccontare la storia di due autentici e non comuni disperati è non solo audace ma anche funzionante!
Quand'è l'ultima volta che vi siete commossi perchè della musica pop (per di più anni '80!) sale nel momento in cui ai due protagonisti, ormai sul fondo del barile, forse viene data una speranza di felicità conquistata con foga in un momento puntuale? Ecco a me era da tanto che non capitava.
Saverio Costanzo è migliore di tanti, tantissimi nostri altri autori che magari fanno film meglio riusciti perchè ha capito, in ultima analisi, a che serve questa cosa che chiamiamo cinema, come lo si usa e per quale finalità. E ha l'audacia di marciare a grandi falcate verso quello scopo. Che poi qualche film possa avere dei difetti passa in secondo piano.
7 commenti:
la foto a destra mi ha ricordato questa cosa
http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/speciali/000121bimbitristi/
hahahaahh
si è vero
è un film che ha diviso, menomale sono contento che ti sia piaciuto molto ! e hai fatto davvero una bella analisi.
si ha divisio e capisco anche perchè. Però non si può far finta di nulla davanti a certe cose!
premetto che non ho visto i precedenti film di saverio costanzo (e anche che siamo vicini di casa) ma quello che penso dopo aver visto questo e' ke non e' bravo a fare il narratore cioe' a raccontare la storia nei suoi intrecci e nello scorrere del tempo, ma lo e' molto a veicolare lo stato d'animo dei protagonisti. si esce dalla sala con un'angoscia mostruosa, una cupezza e una disperazione anche maggiori di quelle provate leggendo il libro. e io credo che qs fosse il suo intento. bravo.
Mi assumo la responsabilità di quello che dico. La solitudine dei numeri primi, massacrato praticamente da chiunque e ignorato dal pubblico, è uno dei più bei film italiani degli ultimi 30 anni.
Ok degli ultimi 30 anni forse è tanto anche per me, comunque capolavoro TOTALE. L'ho anche rivisto recentemente e confermo tutto. Una cosa di un'audacia che avercene!
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