C'è un cinema che non mi piace. Ma non nel senso che è lontano dai miei gusti, più nel senso che è lontano dalla mia idea di cinema. Si tratta sempre di opinioni personali ma un certo cinema (specialmente italiano, ma credo sia perchè ne vedo di più di film italiani) lo cancellerei, lo eliminerei proprio, lo ritengo dannoso per la veicolazione di un'immagine artistica del cinema. Non che il termine artistico debba cozzare con il popolare di cui si fregia la Festa Del Cinema, cozza semplicemente con l'idea di un cinema che suggerisce, emoziona e parla a tutti.
Ecco Il Viaggio Segreto è un ottimo esempio di questo cinema, nel quale non esito a mettere anche Antonioni. Un cinema che pretende la fiducia dello spettatore nel trasmettere emozioni, che non le mostra, non le mette in scena ma assicura che queste ci siano. Un pianto, una scena di rabbia, qualche urlo e lo spettatore si deve fidare. Non ci sono artifici narrativi, non sono neanche mal narrati, non sono proprio narrati. Si tratta di quei film in cui i dialoghi sono ridotti all'essenziale, sono magari molti ma essenziali. I personaggi parlano senza spiegarsi, distribuendo tutti sentenze, parole suggestive che rimandano a chissà quale profondità di significati.
E' un cinema dalla poeticità programmatica che non sopporto al pari del cinema della superficialità che non ha l'orgoglio e il coraggio di riconoscersi come tale (perchè in esso comunque ci sarebbe un'immensa dignità) di cui Ron Howard è solo l'ultimo alfiere.
Nello specifico Andò gioca a fare Bellocchio, cosa che già nella maggior parte dei casi viene male allo stesso Bellocchio, figuriamoci a lui, che fa muovere Alessio Boni (che già recita male, figuriamoci con queste battute in bocca) con un fantasma, leggero enigmatico ed etereo, avvertendoci che nel film ci sono tantissimi significati nascosti da cogliere e che ci dobbiamo dare da fare.
Semplicemente non credo in questo cinema.
Ecco Il Viaggio Segreto è un ottimo esempio di questo cinema, nel quale non esito a mettere anche Antonioni. Un cinema che pretende la fiducia dello spettatore nel trasmettere emozioni, che non le mostra, non le mette in scena ma assicura che queste ci siano. Un pianto, una scena di rabbia, qualche urlo e lo spettatore si deve fidare. Non ci sono artifici narrativi, non sono neanche mal narrati, non sono proprio narrati. Si tratta di quei film in cui i dialoghi sono ridotti all'essenziale, sono magari molti ma essenziali. I personaggi parlano senza spiegarsi, distribuendo tutti sentenze, parole suggestive che rimandano a chissà quale profondità di significati.
E' un cinema dalla poeticità programmatica che non sopporto al pari del cinema della superficialità che non ha l'orgoglio e il coraggio di riconoscersi come tale (perchè in esso comunque ci sarebbe un'immensa dignità) di cui Ron Howard è solo l'ultimo alfiere.
Nello specifico Andò gioca a fare Bellocchio, cosa che già nella maggior parte dei casi viene male allo stesso Bellocchio, figuriamoci a lui, che fa muovere Alessio Boni (che già recita male, figuriamoci con queste battute in bocca) con un fantasma, leggero enigmatico ed etereo, avvertendoci che nel film ci sono tantissimi significati nascosti da cogliere e che ci dobbiamo dare da fare.
Semplicemente non credo in questo cinema.
Nessun commento:
Posta un commento