Michael Moore è Michael Moore e di certo non cambia. Così ad ogni suo nuovo film occorre chiedersi non tanto se sarà una buona inchiesta o meno ma quanto saprà, a fronte di tante esagerazioni, dare anche qualche stimolo importante.
Se Roger And Me era molto televisivo e abbastanza documentaristico (nel senso stretto del genere), Bowling a Columbine era stata una vera miniera di idee interessanti a fronte di qualche manichea contrapposizione e populista presa di posizione, Farenheit 9/11 un polpettone brutto e inutile e Sicko un film medio, Capitalism continua la scia del precedente.
Preso di mira ovviamente è il sistema capitalistico e la recente crisi economica, dunque nel mondo manicheo di Moore il nemico da combattere stavolta sono le banche e Wall Street in genere (e poi corollariamente Bush, i conservatori, la guerra ecc. ecc.).
Effettivamente il film ci dice delle cose interessanti su come l'America in effetti non sia sempre stata (si parla di storia recente) la paladina del capitalismo, di come quest'ossessione per la libera impresa in fondo non sia radicata per davvero nel paese che più che altro si è promosso come il più capitalista di tutti. Ovviamente tutto da prendere con le molle e le dovute proporzioni, se Moore dice 50 la verità è 10, però quel 10 esiste.
E poi c'è anche la parte esagerata di odio, livore e assegnazione di tutte le colpe da una parte sola. In un momento di vero furore anticonservatore incolpa la precedente amministrazione anche dell'uragano Katrina.
Quello che rimane davvero però è la straordinaria abilità da regista. Ruffiano, manicheo, baro, cinico e sfruttatore Moore ce le ha tutte. Ma quant'è bravo! I suoi documentari anche se parlano di economia e raccontano dati, numeri, nomi di banche e parole mai sentite a rotta di collo riescono ad essere fluidi, comprensibili, spettacolari e divertenti. Il suo lavoro d'archivio è eccezionale e la capacità di parlare (anche mentendo) per immagini è unica. Io stesso, con tutte le riserve che ho sui suoi trucchetti mi sono commosso in più di un momento.
Se lui stesso si considerasse più come Herzog e meno come un giornalista sarebbe anche meglio ma forse siamo noi che dobbiamo pensare che in realtà Moore non parla mai ai cervelli e sempre ai cuori.
2 commenti:
Sottoscrivo, un Moore con i soliti difetti ma con qualche momento toccante.
esatto.
Non nego che con tutto è che una cosa molto ruffiana, per come è presentata e mostrata quando compare la frase "Io non voglio vivere in un paese così. E non ho intenzione di andarmene" mi ha veramente colpito forte.
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