Stavolta non c'è da ridere. Questa è la vera novità. E la si potrebbe chiudere qui, perchè per il resto Un altro mondo ribadisce tutto quello che di dannoso era presente in Parlami D'Amore (uno dei film più involontariamente comici della sua stagione), sebbene in maniera minore.
Ancora una volta si racconta una storia di scoperta dei sentimenti autentici e vita a contatto con gli altri, da parte di un tormentatissimo personaggio che vive in contesti ben oltre l'agio. Se non è l'amore di due amanti è quello parentale e così in Un altro mondo è l'incontro con il fratellastro molto minore e molto perduto, unito all'obbligo di occuparsene, che faranno capire al protagonista come la vera felicità sia darsi a qualcun altro (lagrima).
Il problema ovviamente non è la trama, che in sè non presenta variazioni dalla classica struttura di un qualsiasi melò e anzi in certi momenti rispetta i binari del più ordinario cinema della commozione, il problema è la messa in scena all'insegna dell'urlo.
L'urlo non è solo quello delle parole urlate ma anche quello delle immagini urlate, delle metafore urlate, dei richiami autobiografici urlati (un fratello maggiore fa da padre ad uno minore, ma il secondo insegnerà al primo ad amare). Tutto in Un altro mondo è sottolineato e raddoppiato. I personaggi esplicitano verbalmente i loro sentimenti, la musica sottolinea il momento, la luce si fa poetica e l'immagine paradigmatica, tutto nella messa in scena punta continuamente nella medesima direzione, di fatto urlando un contenuto. Tutto è insistito e purtroppo naive.
In questo senso non può aiutare la solita recitazione maldiretta (se per Silvio siamo abituati fa specie vedere Isabella Ragonese così scialba) cui sembrano essere sempre affidate le sorti del film. A salvare la baracca inaspettatamente ci pensa Michael Rainey Jr., il bambino di colore coprotagonista, un vero miracolo di casting capace di trattenere e liberare sentimentalismo quando serve e in grado di gestire i toni meglio degli adulti.
Il carattere letterario dei dialoghi (per non dire della voce over!), la ferma volontà di fare poesia e non prosa, unita alla scoperta dell'ovvio e alla dimostrazione del già visto, rischiano di mandare in bestia lo spettatore anche a fronte di un film dai valori tecnici decisamente migliori della media. In particolare si distingue la bellissima fotografia dell'ex collaboratore di Gabriele Muccino, Marcello Montarsi, che replica quel modo di procedere che aveva reso fulminante l'esordio del fratello grande (colori saturi, movimenti continui e secchi, temperature diverse a seconda dei luoghi e sovraesposizione), citando anche nell'immagine del campo da pallacanestro sul tetto un momento di La ricerca della felicità.
Ancora una volta si racconta una storia di scoperta dei sentimenti autentici e vita a contatto con gli altri, da parte di un tormentatissimo personaggio che vive in contesti ben oltre l'agio. Se non è l'amore di due amanti è quello parentale e così in Un altro mondo è l'incontro con il fratellastro molto minore e molto perduto, unito all'obbligo di occuparsene, che faranno capire al protagonista come la vera felicità sia darsi a qualcun altro (lagrima).
Il problema ovviamente non è la trama, che in sè non presenta variazioni dalla classica struttura di un qualsiasi melò e anzi in certi momenti rispetta i binari del più ordinario cinema della commozione, il problema è la messa in scena all'insegna dell'urlo.
L'urlo non è solo quello delle parole urlate ma anche quello delle immagini urlate, delle metafore urlate, dei richiami autobiografici urlati (un fratello maggiore fa da padre ad uno minore, ma il secondo insegnerà al primo ad amare). Tutto in Un altro mondo è sottolineato e raddoppiato. I personaggi esplicitano verbalmente i loro sentimenti, la musica sottolinea il momento, la luce si fa poetica e l'immagine paradigmatica, tutto nella messa in scena punta continuamente nella medesima direzione, di fatto urlando un contenuto. Tutto è insistito e purtroppo naive.
In questo senso non può aiutare la solita recitazione maldiretta (se per Silvio siamo abituati fa specie vedere Isabella Ragonese così scialba) cui sembrano essere sempre affidate le sorti del film. A salvare la baracca inaspettatamente ci pensa Michael Rainey Jr., il bambino di colore coprotagonista, un vero miracolo di casting capace di trattenere e liberare sentimentalismo quando serve e in grado di gestire i toni meglio degli adulti.
Il carattere letterario dei dialoghi (per non dire della voce over!), la ferma volontà di fare poesia e non prosa, unita alla scoperta dell'ovvio e alla dimostrazione del già visto, rischiano di mandare in bestia lo spettatore anche a fronte di un film dai valori tecnici decisamente migliori della media. In particolare si distingue la bellissima fotografia dell'ex collaboratore di Gabriele Muccino, Marcello Montarsi, che replica quel modo di procedere che aveva reso fulminante l'esordio del fratello grande (colori saturi, movimenti continui e secchi, temperature diverse a seconda dei luoghi e sovraesposizione), citando anche nell'immagine del campo da pallacanestro sul tetto un momento di La ricerca della felicità.
14 commenti:
Oh ma c'hai il dente avvelenato con Muccino jr., eh?!
(scusami non ho resistito!)
:D
Non è colpa mia sono i suoi film ad essere terribili!
Figurati, sfondi una porta aperta!
Io lo odio Silvio (sarà il nome che porta rogna?!): è il Fabio Volo del cinema!
A zappare la terra tutti e due!
Condivido il vostro giudizio ma vorrei sollevare un interrogativo umano: ci fa o ci è? Cioè, secondo voi è molto furbo e ha deciso di consacrarsi al cinema buonista e finto-intellettuale per scopi mercenari oppure si crede davvero "grande autore"? Per me questo è il vero Mistero Muccino ...
FLAVIA.
Secondo me vuole imitare i grandi film e i grandi autori, capaci di suscitare grandissime emozioni. Il punto è che lo fa in maniera maldestra e ingenua.
Grande gparker, per le recensioni come questa dovrebbero darti la Palma d'oro (o quello che vuoi tu) dei critici cinematografici. Difficile trovare qualcun altro che sia così esplicito -come d'altronde lo è il film! (chi di urla ferisce di urla perisce)- nel dire le cose come stanno. Mitico!
Nessuno qui pretende che il mondo del cinema sia composto solo dai Fassbinder, Truffaut e Dogma danese, che non pretendono di spiegare, sottolineare, evidenziare e far digerire con calma allo spettatore ogni Messaggio, ma di fronte all'eccesso opposto, quello del genere (chiamiamolo così) mucciniano, bisogna prendere posizioni forti. Molto appropriato il paragone con Fabio Volo. Quella non è letteratura, questo non è cinema. Stiamo a livello di cine-panettoni, cambia solo il target, il ceto medio e il suo horror vacui culturale!
tanto più terribile quanto più vuol combattere anch'esso tutto questo ma senza mai scendere dal Cayenne.
Ad ogni modo è facile urlare gli strali da un blog, più difficile farlo da un giornale. La medesima recensione non l'avrei potuta scrivere sulla maggior parte delle testate per cui lavoro. Avrei potuto mantenere i contenuti ma necessariamente cambiare la forma optando per un formalismo più dignitoso (per il criticato).
Opere siffatte hanno dignità di esistenza solo perche sia possibile che tu possa scrivere una recensione ;-)
Grande.
alle volte penso anch'io che siano fatti per farci divertire...
Bè in effetti su un giornale nazionale dovresti "avanzare mascherato", ma sono certo che la recensione sarcastico-ironica e non diretta come questa potrebbe darti, e darci, ancora più soddisfazione...
Secondo me il prossimo film lo potresti fare recensire direttamente dal Compatto...
OT
Buon anno, señor Dionigi! :)
Come finì con le arancine...
OT2
Buon anno a tutti. Gparker, nel 2011 ti voglio vedere da Marzullo... ahah :D
E' un dato di fatto che la recensione violenta, la stroncatura, piace molto a chi legge. Un po' perchè rispecchia meglio il suo pensiero (solitamente il lettore, se non ha amato il film, è decisamente più violento ed estremo del critico) e un po' perchè sono occasioni per scrivere meglio e con più verve.
Il punto però è che i guai non li passa chi scrive ma la redazione responsabile, quindi servirebbe a poco scrivere sotto pseudonimo. Ci vorrebbe una testata sotto pseudonimo.
Oppure si potrebbe fare prima ed elevare questo blog a testata nazionale con un plebiscito ottocentesco.
Perchè poi, quando si stronca violentemente, c'è sempre il sospetto che il critico abbia ragione di rancore personale verso il regista? ... A me fa arrabbiare parecchio essere tenuta in sala due ore a vedere una cosa fatta male o (per restare nel tema del post) una seduta di auto-analisi imposta all'universo mondo. E pensa se ci metti che devo pure pagare!
Buon Anno a tutti! =))
FLAVIA:.
si , si pensa sempre che ci sia uno scollamento con il pubblico e che questo non la pensi in questa maniera. QUando proprio per le ragioni che elenchi solitamente il pubblico è più violento del critico.
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