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6.6.11

Bronson (id., 2008)
di Nicolas Winding Refn

Quasi tre anni di ritardo nell'uscita questa volta non sono una colpa ma quasi un miracolo. Quasi un miracolo perchè la distribuzione, che ha deciso di puntare sul talento del danese Refn da tempo, ha faticato a piazzare i suoi film (compresa l'uscita in home video del terzo capitolo di Pusher), almeno fino al premio per la miglior regia conseguito da Drive a Cannes. Questo sembra poter sbloccare l'uscita pianificata da un bel po' e molto rimandata di Bronson.

Dunque il film che ha al centro il personaggio basato sul vero criminale più temuto d'Inghilterra sarà, se non erro, il primo film di Refn a ricevere una distribuzione nel nostro paese. E quale titolo migliore?
Bronson infatti, già a partire dal titolo, racconta molto di quello che Refn sta facendo al cinema e mette in connessione due dimensioni diverse dei suoi lavori. La prima è quella eminentemente cruda e criminale, tutta violenza e camera a spalla vista nella trilogia di Pusher. La seconda è quella più poetica e (alle volte) velleitaria che porta il regista a tentare di proiettare la materia raccontata su piani più alti, trasferendo le pulsioni pulp sul terrenno dell'assoluto. E' stato il caso di Valhalla Rising, il poco riuscito film passato al Festival di Venezia di due anni fa.

Bronson però limita molto questa componente e riesce ad unire il meglio di entrambi i mondi. La storia di questo personaggio ambiguo, a metà tra follia, autolesionismo e arte, caratterizzato da un desiderio di rabbia (indimenticabile in questo senso l'inquadratura dei pugni chiusi dall'alto) per Refn è un'opera che va raccontata a metà tra inventiva e realismo, cercando la crudità dei corpi (spesso nudi o martoriati) al pari delle invenzioni sceniche.
Alla storia assurda di Micheal Petersen, in arte Charlie Bronson, che nella vita voleva essere famoso ma non sapeva recitare e dunque diventa l'idolo delle galere, poi un combattente clandestino e infine artista, Refn regala uno stile altalenante tra il grottesco, il comico e il disperatamente violento. Azzeccando ben più di un'immagine (alla fine la gabbia strettissima) e ben più d'un momento.

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