Vincitore dell'ultimo festival di Torino (il primo italiano in 27 anni), a metà tra documentario e finzione con la stimabile arroganza di chi non ha la minima intenzione di lasciar intuire dove stia la linea di demarcazione tra ciò che è vero e ciò che è inventato perchè non è lì il punto della questione e non è lì che deve andare l'attenzione, La Bocca Del Lupo racconta di un uomo e una donna (che in realtà è un uomo, cioè un trans) poveri in un contesto povero, due esseri umani derelitti i quali, conosciutisi in carcere si sono amati per più di 25 anni di un amore che ancora oggi li pervade.
Lui rude, violento e intimorente al solo sguardo ma "anche dotato di una dolcezza profonda" come sostiene lei che invece ha i tratti tipici della moglie di una certa età, un po' vittima del suo uomo, un po' dominatrice silenziosa. Entrambi sono raccontati da Marcello in primis abbinando l'audio delle cassette che si mandavano lui dal carcere, lei da fuori nel periodo in cui non sono potuti stare insieme con il video di Quarto, nei pressi di Genova, dove hanno trascorso gran parte della loro vita. Immagini di oggi, del degrado della periferia ma anche immagini di repertorio di quello che quel posto era.
Dopodichè nella parte finale i due sono davanti alla videocamera, incastrati nella loro angusta abitazione a confessarsi e raccontarsi.
Il modo in cui le loro parole fuori campo si snodano lungo immagini altre giustapposte dal regista, le vie lungo le quali il percorso video incrocia o si distanzia da quello audio, la volontà di cercare l'effetto straniante e il duplice livello di lettura ricordano sia per sforzo teorico che per realizzazione pratica quello che faceva Godard quando usava le immagini per arricchire il senso alle sue voci off pontificanti.
Non solo quindi c'è un'idea di cinema molto antica (e per tanti versi superata, nel senso di "non più praticata dal cinema") ma anche un modo di metterla di nuovo in scena che poco o nulla ha di nuovo da dire.
Con l'alibi di immagini altamente studiate e calibrate per cercare una dimensione estetica del reale, capace di infondere poesia in ciò che poesia non ha mai, la povertà, La Bocca Del Lupo sembra cercare sempre la giustificazione della cultura alta (anche il titolo fa riferimento ad un'opera letteraria) per una storia che più bassa non si può sia per scenario che per dinamiche (l'amore eterno che sboccia in prigione, l'uomo forte, il colpo di fulmine...). Ma lungi dal riuscire in un intento pasoliniano quello che sembra è che La Bocca Del Lupo voglia raccontare una storia vera dall'alto con uno sguardo intellettuale che non è mai partecipe ma sempre alla stessa distanza del divario culturale che separa chi mette in scena da chi è rappresentato.
Lui rude, violento e intimorente al solo sguardo ma "anche dotato di una dolcezza profonda" come sostiene lei che invece ha i tratti tipici della moglie di una certa età, un po' vittima del suo uomo, un po' dominatrice silenziosa. Entrambi sono raccontati da Marcello in primis abbinando l'audio delle cassette che si mandavano lui dal carcere, lei da fuori nel periodo in cui non sono potuti stare insieme con il video di Quarto, nei pressi di Genova, dove hanno trascorso gran parte della loro vita. Immagini di oggi, del degrado della periferia ma anche immagini di repertorio di quello che quel posto era.
Dopodichè nella parte finale i due sono davanti alla videocamera, incastrati nella loro angusta abitazione a confessarsi e raccontarsi.
Il modo in cui le loro parole fuori campo si snodano lungo immagini altre giustapposte dal regista, le vie lungo le quali il percorso video incrocia o si distanzia da quello audio, la volontà di cercare l'effetto straniante e il duplice livello di lettura ricordano sia per sforzo teorico che per realizzazione pratica quello che faceva Godard quando usava le immagini per arricchire il senso alle sue voci off pontificanti.
Non solo quindi c'è un'idea di cinema molto antica (e per tanti versi superata, nel senso di "non più praticata dal cinema") ma anche un modo di metterla di nuovo in scena che poco o nulla ha di nuovo da dire.
Con l'alibi di immagini altamente studiate e calibrate per cercare una dimensione estetica del reale, capace di infondere poesia in ciò che poesia non ha mai, la povertà, La Bocca Del Lupo sembra cercare sempre la giustificazione della cultura alta (anche il titolo fa riferimento ad un'opera letteraria) per una storia che più bassa non si può sia per scenario che per dinamiche (l'amore eterno che sboccia in prigione, l'uomo forte, il colpo di fulmine...). Ma lungi dal riuscire in un intento pasoliniano quello che sembra è che La Bocca Del Lupo voglia raccontare una storia vera dall'alto con uno sguardo intellettuale che non è mai partecipe ma sempre alla stessa distanza del divario culturale che separa chi mette in scena da chi è rappresentato.
2 commenti:
Non ho ancora visto il film ma hai segnalato uno dei problemi, che ha il cinema italiano, che più mi sta a cuore:
"Con l'alibi di immagini altamente studiate e calibrate per cercare una dimensione estetica del reale"
una cosa che può capitare anche a registi assolutamente eccezzionali come Garrone (che con Gomorra però riesce a schivare l'effetto "periferia ritrovata" creando delle ambientazioni assolutamente extraterrestri...la cava con i camion potrebbe essere benissimo su Marte o Giove.Grande)
il misto tra documentario e finzione va benissimo (meglio se usando degli attori che fanno finta di esser veri come facevi ben vedere tu riportando l'esempio di oz-girl ma qui son solo sfumature che non devono diventar regole..) però mi sa che il problema vero e proprio sta nell'ambiente in cui i futuri cineasti vivono.
in molti casi sembra che voglio parlare delle "grandi città"(che poi è più l'idea storica che la città fisica) filmando la periferia.
ma non come scelta personale ma più come applicazione di un metodo puramente formale.
non è che per il momento sia meglio ambientare i vari racconti in giro per il mondo? Bolivia, Australia, Estonia etc?
a tal proposito chiedo a te:
Qual'è un buon esempio film italiano ambientato all'estero? (che riesca a staccarsi temporaneamente da un ambientazione conosciuta senza però scadere nell'esotismo alla mondo cane)
Subito mi viene in mente Ultimo tango a parigi (anche per il titolo) che non usa parigi come set esotico ma ci incastra bene una vicenda che rimane concentrata sugli uomini e poi i film di Marco Bechis come La Terra Degli Uomini Rossi o Hijos che al contrario sono ambientati all'estero e questo è importantissimo anche per la trama, tuttavia rifuggono l'idea estetica del luogo remoto.
E' proprio quell'aria paternalistica di "quanto sono belli i vicoli degradati e quanto a loro modo poetici" che non tollero e gli preferisco ovviamente l'aria "guarda che posto allucinante" dei film di Garrone.
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