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12.2.12

A Moi Seule (2011)
di Frédéric Videau

CONCORSO
BERLINALE 2012

Una bambina rapita per circa 6-7 anni (così a spanne) sviluppa con il rapitore (che la tiene segregata in una cantina, da cui le consente di uscire ogni tanto ma comunque mai fino a fuori casa) un rapporto di insolito affetto, non erotico ma quasi familiare.
L'intento di Videau è chiarissimo, superare a destra la sindrome di Stoccolma e parlare di rapporti umani a partire dal meno convenzionale immaginabile. Tutto il film infatti si gioca sul contrasto tra l'adattamento e il senso di costrizione. La rapita, diventata adolescente, si relaziona al rapitore come con un padre o un fratello di molto maggiore, ci litiga, ci discute e ci si diverte, eppure non appena egli sembra abbassare la guardia tenta la fuga.

E' impossibile descrivere più di così un film che ha l'indubbio pregio di mettere a confronto due personaggi dalle sfumature mai viste in un contesto inusuale (il rapimento). Descrivendo bene lo stato di un'adolescente, tra desideri di libertà normali per l'età (di quelli che si avrebbero anche semplicemente stando a casa con i genitori) al bisogno di affetto e poi di gratificazione sessuale, passando invece per una più malata, sebbene mite, psicologia del rapitore, A moi seule ("Tutta per me") sebbene alla fine non rimanga come un film perfettamente riuscito, ha il pregio di concludere una metafora calzante sulla dialettica tra le costrizioni e il ribellismo giovanile, tra aspirazioni sessuali (esplicitate una sola volta nel film ma sempre aleggianti) ed indirizzamenti familiari.

I cambi di colore ai capelli della protagonista, come già accadeva in Coraline, la sua permanenza in un istituto d'igiene mentale dopo il rapimento e l'impossibilità di stabilire rapporti significativi dopo l'esperienza, hanno anche più forza della parentesi di prigionia. Come spesso capita l'incapacità di adattarsi alla normalità e al contesto cui si vorrebbe appartenere, parla meglio delle difficoltà umane di qualsiasi altra cosa. L'aspirazione al conformismo e l'impossibilità personale di raggiungerlo (qui causata dal trauma), sballottano la protagonista in un finale che la spinge a fuggire dalla seconda prigionia (quella sociale) verso l'ignoto. 
Questo, a differenza di tutto il lato più intimista del rapitore, era l'elemento realmente funzionante del film.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

In realtà à moi in francese è un'espressione che denota il possesso, quindi à moi seule è più corretto tradurlo come "solamente mia" o "tutta mia" (anche se in italiano darebbe tanto l'idea di un titolo da commedia romantica di 15esima categoria....)


gparker ha detto...

grazie della correzione, ho modificato


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