Ho aspettato un po' prima di scrivere di Happy Family perchè il ritratto metafilmico e metaletterario di un nucleo familiare allargato che per metafora (esplicitata) è la società realizzato prendendo tutte le soluzioni del cinema di Wes Anderson (principalmente Rushmore e I Tenebaum, ma senza saper puntare sul rapporto particolare con la musica e sull'esplosione di sentimenti) mi aveva un po' spiazzato. Troppo curato per essere una schifezza e troppo pretenzioso senza giungere a nulla per essere un buon film.
Si racconta di uno scrittore con alle spalle una rendita tanto solida quanto grottesca (come in About a Boy), che vuole scrivere una "bella sceneggiatura". Mentre scrive le parole diventano immagini e vediamo la sceneggiatura già film. Il racconto poi viene di tanto in tanto interrotto dalle pause che lo scrittore si prende per farsi dei massaggi o quant'altro. Durante le pause i personaggi escono dal computer e gli parlano, fino al finale metaforico e catartico.
A salvare quest'improbabile trama è in molti punti l'umorismo e in molti altri lo stile della messa in scena che sceglie di puntare su colori, costumi e ambienti. Di volta in volta tutto è rosso, tutto è giallo, tutto è verde, tutto è bianco ecc. ecc. in accordo con diverse fasi del racconto e della stesura (come in Hero).
Effetti speciali particolarmente mal realizzati poi incorniciano tutto in un'atmosfera irreale di una Milano costantemente assolata, popolata di uomini e donne "spaventati", lasciando intendere che la paura, nelle sue varie declinazioni, è la dominante di questi anni (come in Bowling a Columbine).
Non è la prima volta che Salvatores tenta un film dal racconto non lineare e non canonico. L'aveva fatto con Denti e Amnèsia. E non è nemmeno la prima volta che mette in scena personaggi che prendono vita. L'aveva fatto in Nirvana. Sembra però ancora una volta che quest'esigenza di trovare forme diverse per parlare di cose diverse (in questo caso la società e il vivere moderno) rimanga tale. A questo punto era meglio la memoria odontostomatologica di Denti.
Si racconta di uno scrittore con alle spalle una rendita tanto solida quanto grottesca (come in About a Boy), che vuole scrivere una "bella sceneggiatura". Mentre scrive le parole diventano immagini e vediamo la sceneggiatura già film. Il racconto poi viene di tanto in tanto interrotto dalle pause che lo scrittore si prende per farsi dei massaggi o quant'altro. Durante le pause i personaggi escono dal computer e gli parlano, fino al finale metaforico e catartico.
A salvare quest'improbabile trama è in molti punti l'umorismo e in molti altri lo stile della messa in scena che sceglie di puntare su colori, costumi e ambienti. Di volta in volta tutto è rosso, tutto è giallo, tutto è verde, tutto è bianco ecc. ecc. in accordo con diverse fasi del racconto e della stesura (come in Hero).
Effetti speciali particolarmente mal realizzati poi incorniciano tutto in un'atmosfera irreale di una Milano costantemente assolata, popolata di uomini e donne "spaventati", lasciando intendere che la paura, nelle sue varie declinazioni, è la dominante di questi anni (come in Bowling a Columbine).
Non è la prima volta che Salvatores tenta un film dal racconto non lineare e non canonico. L'aveva fatto con Denti e Amnèsia. E non è nemmeno la prima volta che mette in scena personaggi che prendono vita. L'aveva fatto in Nirvana. Sembra però ancora una volta che quest'esigenza di trovare forme diverse per parlare di cose diverse (in questo caso la società e il vivere moderno) rimanga tale. A questo punto era meglio la memoria odontostomatologica di Denti.
17 commenti:
"Troppo curato per essere una schifezza e troppo pretenzioso senza giungere a nulla per essere un buon film" mi pare si possa applicare a quasi tutte le opere di Salvatores...
non posso darti torto
Quanta poesia per le mie orecchie in questa tua critica.
tanto ridere anche per quella "memoria odontostomatologica" nonostante abbia riportato alla mia memoria un orrido film altrimenti sopito.
Pensare che sia peggio di quello mi fa venire la pellagra.
linogash
non ci credo che "io non ho paura" e' suo. ci deve essere un ghostdirector, non c'e' altra spiegazione.
è strano come Salvatores sembri sempre in cerca di un modo definitivo con cui fare film. Come se i suoi esperimenti non lo convincessero mai.
Sarà...ma sicuramente è l'unico di questa settimana che andrò a vedere al cinema...dato che gli altri mi sembrano tutti delle fetecchie.
Ale55andra
come spesso capita a salvatores la riuscita è davvero dubbia....
pero e indubbiamente una gran bella idea...
L'ha scritto Ammaniti?
no l'ha scritto alessandro genovesi che con quello script ci aveva vinto il premio solinas per la miglior sceneggiatura
guarda, so che sono ot, però cercavo un tuo vecchio post su un archivio web, mi pare tedesco, su film di inizio secolo o anni '10; beh, al di la del fatto che ho ricordi molto confusi, neppure riesco a trovarlo. Mi sto sbagliando del tutto o sono solo molto disorientato?
l'unico post che corrisponde a queste descrizione è quello di Die Puppe, film tedesco di Lubitsch noto anche come La bambola di carne
http://sonovivoenonhopiupaura.blogspot.com/2005/12/die-puppe-id-1919di-ernst-lubitsch.html
Tornando al tema.. sto per spendere 7€ domani per vedere questo film: solo un SI' o un NO per favore...
FLAVIA
non è semplice come domanda. Dipende dai gusti, io tornando indietro con una macchina del tempo non lo consiglierei a me stesso. Perchè mi conosco.
Ma vedi.. alla fine il bello dei critici è questo: che io domani vado, poi se non mi piace me la prendo con te! =)
FLAVIA
VISTO! Allora, a me non è dispiaciuto.. Dipende da cosa ci si aspetta: io avevo letto critiche così discordanti che alla fine sono andata senza nessun pregiudizio. Dato che le commedie sono sempre migliori nella presentazione dei personaggi che nello svolgimento della trama, qui si presentano i personaggi, e basta: geniale, a suo modo...
FLAVIA.
L'ho visto anch'io (per ripiego, volevo andare a vedere "Perdona e dimentica" ma si era rotto il proiettore).
Non so, sinceramente sono basito che nel 2010 si possa considerare "geniale" (come fa Flavia) una sceneggiatura basata su uno sceneggiatore che interagisce coi suo personaggi (non so, ma l'hai visto "Il ladro di orchidee", tanto per fare un esempio tra mille?).
Che poi, perché un meccanismo del genere avessesenso, occorrebbe che ci fossero due piani narrativi che si intersecano tra loro. Qui invece lo sceneggiatore diventa subito un personaggio come gli altri, e della sua vita non sappiamo quasi nulla. L'unica funzione della cornice metanarrativa è quella di gustificare il fatto che i personaggi siano irreali e privi di spessore e che il film sia ambientato in una Milano patinata e finta.
L'unica cosa che mi è piaciuta è il videoclip del Notturno di Chopin: cinque minuti di belle immagini, finalmente con un senso.
devo dire che pure io ci ho visto poco di geniale
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