Ancora guerra ma stavolta vista da lontano. Un reporter inviato nelle zone di guerra insiste per andare là dove il suo amico non vorrebbe. Nero. In una tenda di un ospedale da campo è pieno di lividi e sangue, sopravviverà ma, tornato a casa, ci vorrà del tempo per capire cosa sia successo davvero.
Non brilla per dinamismo e densità l'ultimo film di Denis Tanovic, tutto concentrato a mostrare un altro lato di quel fenomeno che abbiamo imparato a conoscere dal cinema americano come "reducismo" ovvero le ferite che la guerra provoca nella mente di chi vi prende parte. Stavolta non è un soldato però ma un fotografo al quale succede qualcosa che solo un psicologo potrà tirare fuori.
Talmente è concentrato sui suoi obiettivi Tanovic che perde di vista tutto. La storia è costruita con abilità anche perchè tratta da un libro, ma poi la sceneggiatura dimentica il sentimento e dimentica che lo spettatore non crede a tutto quello che vede solo perchè lo vede.
Talmente è concentrato sui suoi obiettivi Tanovic che perde di vista tutto. La storia è costruita con abilità anche perchè tratta da un libro, ma poi la sceneggiatura dimentica il sentimento e dimentica che lo spettatore non crede a tutto quello che vede solo perchè lo vede.
Perseguendo un ideale di cinema abbastanza banale e privo di guizzi il regista ripone tutte le speranze nel grande colpo di scena finale che però non essendo adeguatamente costruito può al massimo stupire, ma mai emozionare.
E il discorso sulla fotografia, guardare qualcosa non equivale a conoscerlo, anche sembra solo un pretesto l'asciato in sospeso com'è.
Non brilla per dinamismo e densità l'ultimo film di Denis Tanovic, tutto concentrato a mostrare un altro lato di quel fenomeno che abbiamo imparato a conoscere dal cinema americano come "reducismo" ovvero le ferite che la guerra provoca nella mente di chi vi prende parte. Stavolta non è un soldato però ma un fotografo al quale succede qualcosa che solo un psicologo potrà tirare fuori.
Talmente è concentrato sui suoi obiettivi Tanovic che perde di vista tutto. La storia è costruita con abilità anche perchè tratta da un libro, ma poi la sceneggiatura dimentica il sentimento e dimentica che lo spettatore non crede a tutto quello che vede solo perchè lo vede.
Talmente è concentrato sui suoi obiettivi Tanovic che perde di vista tutto. La storia è costruita con abilità anche perchè tratta da un libro, ma poi la sceneggiatura dimentica il sentimento e dimentica che lo spettatore non crede a tutto quello che vede solo perchè lo vede.
Perseguendo un ideale di cinema abbastanza banale e privo di guizzi il regista ripone tutte le speranze nel grande colpo di scena finale che però non essendo adeguatamente costruito può al massimo stupire, ma mai emozionare.
E il discorso sulla fotografia, guardare qualcosa non equivale a conoscerlo, anche sembra solo un pretesto l'asciato in sospeso com'è.
2 commenti:
tutto sommato concordo, mi pare comunque che il film salga un po' quando appare c.lee e il suo discutibile ma particolarissimo personaggio
Si però un po' appiccicato là, sembra stonare con il resto del contesto...
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