Se Lucio Pellegrini ha un posto nel cuore degli amanti del cinema che si ostinano a non mollare la presa sul cinema italiano è grazie al suo esordio come sceneggiatore e regista, E allora Mambo!, film che non solo trovava una vena comica tra le più felici degli ultimi anni ma che riusciva anche a raccontare una storia operando un arco narrativo perfetto. Nessun tempo morto, nessuna scena superflua, nessuno sbandamento. Semplicemente perfetto. Ma lì c'era Fabio Bonifacci alla sceneggiatura...
Figli delle stelle arriva ora dopo il lavoro alla serie tv di Non Pensarci e qualche altro exploit meno felice. E arriva con un cast nutrito (leggi: con un buon investimento produttivo) e una troupe tecnica di prim'ordine. Tutto supportato da un'idea di quelle che possono rendere una commedia qualcosa di più che un film da ridere. Peccato che tale idea (che è contemporaneamente idea di contenuto e forma) arrivi troppo tardi e duri troppo poco.
Si racconta di un gruppo di disperati (un ex carcerato, un precario, un manovale, un nostalgico degli anni di piombo e una giornalista televisiva) i quali, sfiancati ognuno per proprie ragioni dalla situazione politico-sociale, decidono di rapire il ministro dell'economia. Come sempre nei film italiani si sbagliano e rapiscono un sottosegretario che, non solo conta poco, ma è anche un povero diavolo.
L'impressione di "italiani un po' cialtroni ma con tanto cuore" che può suscitare il resoconto della trama è effettiva nella prima parte del film, la più debole. Quando però ci si trasferisce in Valle d'Aosta per nascondere l'ostaggio cambia tutto e il film comincia a trovare vero senso.
Gli spazi aostani e soprattutto l'architettura anni '80 modernista, che sembra prefigurare un impossibile futuro mai arrivato, fa il paio con i costumi (si vestono con quello che trovano). Tute e abiti da sci sempre usciti dagli anni '80 che ricordano gli abiti futuribili della fantascienza giapponese anni '90 (cioè di poco succesiva), ma che erano la tragica realtà di anni in cui si sperava nel futuro anche con l'abbigliamento. Si respira insomma davvero un'aria di sconfitta e nostalgia in primis con le immagini.
Anche la trama poi fa un salto in avanti: si ride di più e con più arguzia, andando a parare in territori decisamente più interessanti. E' quindi un peccato che il senso vero arrivi così tardi e che il film si chiuda con un tramonto sul mare, simbolo imperituro di acquiescenza all'italiana. Si rischiava il beppegrillismo antipolitico, si era trovata una vena felice e si è smorzato per non rischiare su nessun fronte. E dire che un Pierfrancesco Favino così in forma non lo si vedeva da tempo...
Figli delle stelle arriva ora dopo il lavoro alla serie tv di Non Pensarci e qualche altro exploit meno felice. E arriva con un cast nutrito (leggi: con un buon investimento produttivo) e una troupe tecnica di prim'ordine. Tutto supportato da un'idea di quelle che possono rendere una commedia qualcosa di più che un film da ridere. Peccato che tale idea (che è contemporaneamente idea di contenuto e forma) arrivi troppo tardi e duri troppo poco.
Si racconta di un gruppo di disperati (un ex carcerato, un precario, un manovale, un nostalgico degli anni di piombo e una giornalista televisiva) i quali, sfiancati ognuno per proprie ragioni dalla situazione politico-sociale, decidono di rapire il ministro dell'economia. Come sempre nei film italiani si sbagliano e rapiscono un sottosegretario che, non solo conta poco, ma è anche un povero diavolo.
L'impressione di "italiani un po' cialtroni ma con tanto cuore" che può suscitare il resoconto della trama è effettiva nella prima parte del film, la più debole. Quando però ci si trasferisce in Valle d'Aosta per nascondere l'ostaggio cambia tutto e il film comincia a trovare vero senso.
Gli spazi aostani e soprattutto l'architettura anni '80 modernista, che sembra prefigurare un impossibile futuro mai arrivato, fa il paio con i costumi (si vestono con quello che trovano). Tute e abiti da sci sempre usciti dagli anni '80 che ricordano gli abiti futuribili della fantascienza giapponese anni '90 (cioè di poco succesiva), ma che erano la tragica realtà di anni in cui si sperava nel futuro anche con l'abbigliamento. Si respira insomma davvero un'aria di sconfitta e nostalgia in primis con le immagini.
Anche la trama poi fa un salto in avanti: si ride di più e con più arguzia, andando a parare in territori decisamente più interessanti. E' quindi un peccato che il senso vero arrivi così tardi e che il film si chiuda con un tramonto sul mare, simbolo imperituro di acquiescenza all'italiana. Si rischiava il beppegrillismo antipolitico, si era trovata una vena felice e si è smorzato per non rischiare su nessun fronte. E dire che un Pierfrancesco Favino così in forma non lo si vedeva da tempo...
4 commenti:
Grandissimo Favino! Comunque con quell' "investimento produttivo" a livello di cast credo che in molti avrebbero avuto paura di osare un po' di più ... se questo film non rientra con gli incassi (ma io sono ottimista) torniamo a "Commediasexi", eh! Vogliamo questo? ...
FLAVIA
no per carità no!
Visto ieri (ovviamente era mercoledì): carino, nulla di più e nulla di meno.
Una menzione speciale per l'edificio e l'ambientazione in montagna (ma chi ha dato a suo tempo il permesso di costruire cose simili?!)
Esatto. Nulla di più.
Quell'estetica da futuro di una volta mi fa morire! Era la modernità, sembrava sarebbe stato tutto così. È geniale
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