FUORI CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2011
Spesso in passato la bontà nei film di George Clooney veniva dai suoi script, questa volta è proprio evidente. Nelle parole messe in bocca agli attori, nei risvolti di trama e nel modo in cui sono delineate le figure in gioco si misura il piacere indubbio di vedersi scorrere davanti Le Idi di Marzo, film che come spesso capita agli attori quando fanno i registi è tutto giocato sulle interpretazioni. Lo si capisce da subito, quando Mike Morris, candidato alle primarie democratiche, sostiene un dibattito con il suo avversario principale. I due argomentano colpo su colpo e a scontro finito, quando è il momento degli applausi, dietro le quinte Paul Giamatti e Phillip Seymour Hoffman si scambiano uno sguardo che spiega tutto, è la prima volta che li vediamo e già abbiamo capito. A scontrarsi sono stati loro due, i responsabili delle due campagne, quelli che hanno scritto i due discorsi e curato le immagini dei due candidati. Una raffinatezza non comune che non rimarrà isolata.
Le Idi di Marzo guarda fin dal titolo al Giulio Cesare anche se non è ben chiaro se quel politico interpretato da George Clooney, che fa di tutto per sembrare Obama, sia quello che si prende la coltellata. Lo scontro di intelligenze tra gli entourage dei due candidati miete più di una vittima infatti e al centro di tutto sta il personaggio di Ryan Gosling, delfino dello staff di Mike Morris e principale interprete della dialettica che anima il film tra morale personale e compromessi della politica.
A vedere tutte quelle sagome che si stagliano su una gigantesca bandiera degli Stati Uniti (una delle scene più importanti) e a sentire i discorsi di speranza e fiducia nel sistema che contrappuntano un racconto di marcio che sorregge la politica, è impossibile non pensare a Robert Redford e a quella visione del cinema liberal, fatta di un misto tra fiducia e ammonimento, denuncia e speranza.
Le Idi di Marzo dunque sorprende anche se si è abituati alla mano sicura e asciutta di Clooney regista (che qui con buona percezione di sè e del suo corpo si affida il ruolo non protagonista del candidato, il volto fascinoso che presenta le parole del bolso e barbuto Phillip Seymour Hoffman) e benchè sul fronte politico non riesce a non far risuonare la campana dell'ovvietà, su quello dell'umanità è capace di dire qualcosa di acuto e toccante.
2 commenti:
Finale aperto.
Mi piace pensare che alla fine lui parla. Svela tutto. Torna a essere l'idealista che era. Ritrova la sua strada. Mi piace pensare che quel pirmo piano finale è l'inizio di una confessione. Mi piace pensare che vincere non è soltanto arrivare primi, ma è restare fedeli a un'idea nonostante tutto. Restare se stessi anche quando significa rinunciare a qulacosa di grande. Bel film, ma il mio finale è questo.
l'idea di restare fedeli a qualcosa in cui si crede però è proprio quel che lui vede minacciato lungo tutto il film
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