FUORI CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2010
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2010
Il ritorno nella propria città dopo qualche anno di lontananza è per un giovane ventenne l'occasione per un confronto con gli amici d'infanzia. Subito però cominciano ad accadere fatti strani. Una ragazza creduta morta quando erano piccoli torna dal nulla, facendo riaffiorari traumi e ricordi. Il mistero che la circonda sarà l'occasione per tutti di rimettere piede nel labirinto di un parco giochi, attrazione abbandonata da moltissimo tempo, nel quale era successo il fattaccio. Il viaggio nel labirinto infestato da presenze ultraterrene, diventa però subito un viaggio allucinato e non privo di conseguenze, che oscilla tra passato e presente dei personagi, alla ricerca della verità, cioè di cosa sia davvero successo quando vi si recarono da bambini.
La trama sebbene intricata è nulla più che un pretesto, un MacGuffin, per poter raccontare una storia di derive mentali e fantasmi più interiori che esteriori. Ogni personaggio deve infatti fare i conti con le proprie paure, i propri conti in sospeso e le proprie colpe, braccato da presenze, fantasmi e dai ricordi.
Takashi Shimizu dopo aver ripetuto se stesso e il suo Ju-On in tutte le salse cambia trama, ma non tono nè idee di regia, e realizza questa incursione nell'horror 3D, tutta concentrata a mostrare effetti tridimensionali. Purtroppo il film funziona pochissimo, la paura non si vede nemmeno con il cannocchiale e a quel punto anche le migliori idee stereoscopiche non possono che crollare.
Non è tanto la ripetitività della trama, già sentita, gia abusata, già svilita di ogni significato da mille altri film che sono venuti prima di The shock labyrinth, quanto l'ostentata indifferenza con cui Shimitzu presta il fianco all'umorismo involontario, all'implausibilità (anche considerando le basi horror) e all'incoerenza. Nessuno dei personaggi, specie quelli che vivono quel dramma interiore che dovrebbe animare la storia, ha uno spessore convincente e il labirinto del titolo sembra uscire da Resident Evil (il gioco non il film), senza però averne la devastante carica emotiva.
Invece che unire personaggi e paesaggio in una combinazione dalla quale scaturiscano le paure ancestrali, i traumi e le fobie, The shock labyrinth insiste sempre sulle medesime simbologie nel tentativo (vano) di caricare di suspense oggetti, bambole, trombe delle scale e in un tentativo estremo anche la pioggia.
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