Sebbene con un grandissimo ritardo arriva nelle nostre sale Mars, il cui titolo originale sarebbe una variazione sul nome Marx che in russo (o meglio in cirillico) si scrive Markc, la scomparsa della k è un richiamo al contenuto del film in cui un cinema chiamato come lo studioso tedesco ha una lettera dell'insegna spenta.
Se Kusturica è il Fellini slavo allora Anna Melikyan sembra la Kusturica russa (anche il letto volante in locandina (foto destra) mette sulla giusta strada), impegnata com'è a raccontare una storia che si nutre di caoticità, grottesco e variazioni continue e fracassone.
Il bello di Mars infatti è proprio il suo essere programmaticamente fondato sull'estetica e il suo mischiare con abilità parti di racconto sognate, parti immaginate e parti realmente vissute (bellissimo il modo in cui il pugile ricorda i paesi in cui è stato).
Pieno di idee interessanti sulle quali regna quella della cittadina dove finisce il protagonista, un luogo sorto per i dipendenti di una fabbrica di peluche nel quale i pupazzi prodotti sono considerati come moneta (visto che spesso così che vengono pagati i lavoratori) e che cerca di venire a patti con l'eredità comunista (mille i manifesti di Marx o Lenin con i pupazzi di peluche).
In tutto questo si inserisce un triangolo amoroso in sè non troppo originale ma che, come nei film di Kusturica, riesce a risollevarsi per il modo in cui tratta le singole scene.
Per intenderci non è esaltante il rapporto tra i due uomini e la donna coinvolti, ma le microinterazioni, i momenti a letto o gli sguardi scambiati quelli si sono alle volte fulminanti, che dimostrano quanto Anna Melikyan sia brava a suggerire e a parlare per metafora o metonimia
Abbonata alla ripresa dall'alto a filo di piombo e abilissima ad usare gli effetti speciali in chiave espressionista Anna Melikyan è qui al primo lungometraggio e già ne ha fatto un secondo, Rusalka, premiato in molte sedi tra cui il Sundance Film Festival. Lo vedremo mai?
Se Kusturica è il Fellini slavo allora Anna Melikyan sembra la Kusturica russa (anche il letto volante in locandina (foto destra) mette sulla giusta strada), impegnata com'è a raccontare una storia che si nutre di caoticità, grottesco e variazioni continue e fracassone.
Il bello di Mars infatti è proprio il suo essere programmaticamente fondato sull'estetica e il suo mischiare con abilità parti di racconto sognate, parti immaginate e parti realmente vissute (bellissimo il modo in cui il pugile ricorda i paesi in cui è stato).
Pieno di idee interessanti sulle quali regna quella della cittadina dove finisce il protagonista, un luogo sorto per i dipendenti di una fabbrica di peluche nel quale i pupazzi prodotti sono considerati come moneta (visto che spesso così che vengono pagati i lavoratori) e che cerca di venire a patti con l'eredità comunista (mille i manifesti di Marx o Lenin con i pupazzi di peluche).
In tutto questo si inserisce un triangolo amoroso in sè non troppo originale ma che, come nei film di Kusturica, riesce a risollevarsi per il modo in cui tratta le singole scene.
Per intenderci non è esaltante il rapporto tra i due uomini e la donna coinvolti, ma le microinterazioni, i momenti a letto o gli sguardi scambiati quelli si sono alle volte fulminanti, che dimostrano quanto Anna Melikyan sia brava a suggerire e a parlare per metafora o metonimia
Abbonata alla ripresa dall'alto a filo di piombo e abilissima ad usare gli effetti speciali in chiave espressionista Anna Melikyan è qui al primo lungometraggio e già ne ha fatto un secondo, Rusalka, premiato in molte sedi tra cui il Sundance Film Festival. Lo vedremo mai?
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