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1.8.05

Ospiti (1998)
di Matteo Garrone

Ospiti, seconda opera di Garrone, segue Terra di Mezzo sia temporalmente che tematicamente che produttivamente, mentre si unisce al seguente Estate Romana per la modalità narrativa. Meno riuscito del seguente, Ospiti ha i difetti dell'inesperienza, qualche tempo morto e qualche difficoltà nello stendere la trama, tuttavia, aiutato anche dalla breve durata (78 minuti), scorre bene e riesce a parlare con originalità dell'estraneità.
Sicuramente il termine più giusto per tutto il cinema di Garrone è proprio l'originalità, intesa come originalità dei temi e delle strategie espositive. Per Ospiti Garrone tratta documentaristicamente un momento di vita, un'estate romana (splendida come quella del seguente film) di 4 personaggi, due ragazzi albanesi, un emigrato sardo ed un benestante fotografo romano, inseriti nel contesto del quartiere Parioli, fotografato come fosse un quartiere degradato, tutti e 4 estranei a qualcosa, chi al paese, chi al proprio status di emigrante e chi alla vita borghese. Colmo di silenzi espressivi e di sequenze documentaristiche dei margini del benestare romano Ospiti è ancora legato a molti morettismi (che si perderanno in Estate Romana a favore di un'ancor maggiore originalità), e somiglia un po' a tutto quel cinema italiano "sociale" facile facile, ma ad una visione attenta è evidente come se ne distacchi quasi subito con la prima sequenza, il tentativo di rimorchio delle due ragazze, per approdare (o quantomeno cercare di approdare) ad una dimensione molto più profonda della descrizione della realtà che al momento ha come punto di riferimento i fratelli Dardenne.
Garrone fa tutto da sè, dirige, produce coscrive, cosceneggia, e si occupa perfino di scenografie e costumi, un raro esempio di totale autrachia ed indipendenza produttiva che non incide sulla qualità, sempre eccelsa del girato e della recitazione, pur utilizzando attori non professionisti.





2 commenti:

Unknown ha detto...

e io che credevo che l'imbalsamatore fosse un'opera prima. interessante...


gparker ha detto...

Bellissimo il grande Giacomo de Martino si intravede anche in questo, nelle sequenze girate nell'Archimede. C'è un'autonomia produttiva che è incredibile. Anche perchè solitamente in queste condizioni il film ne risente tantissimo mentre qui sembra aggiungere sempre più elementi. E' geniale l'idea di girarlo tutto ai Parioli...

L'Imbalsamatore è il primo film prodotto da Domenico Procacci, quindi fatto con un po' di soldi, ma prima di questo ci sono Terra di Mezzo (che è un film ad episodi risultato dall'aggregazione di tre corti), Ospiti e Estate Romana. Questi tre sono profondamente di versi dai seguenti sia per contenuti che per stile che per ideologia. Mentre qui si concentra molto sul documentarismo, in l'Imbalsamatore e Primo Amore fa un cinema nettamente più classico, dove ci sono storie lineari con un inizio ed una fine. Rimangono come costanti sempre il modo che ha di affrontare i personaggi nella cui descrizione è sempre sempre sempre fondamentale il lavoro che fanno, una parte di loro che li distingue, li caratterizza e dà una forma alle loro vite.
Matteo è un grandissimo.


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