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29.1.17

Your Name (Kim no Na wa, 2016)
di Makoto Shinkai

Questa storia dalle premesse fantastiche e la resa molto romantica, così vogliosa di toccare le corde più classiche dell’amore negato, sfiorato, cercato, impossibile eppure predestinato, la cui sinossi sembra presa da una commedia americana degli anni ‘80, è una grossa delusione.

Un ragazzo e una ragazza, di colpo e senza una ragione apparente, si scambiano i corpi. Lui si sveglia nel corpo di lei, in provincia, lei si sveglia nel corpo di lui, in città. E poi di nuovo tornano ad essere se stessi il giorno seguente e poi di nuovo ancora uno scambio quello dopo. Inizialmente scombussolati dall’evento, con il tempo cominciano quasi a prenderci la mano, si lasciano messaggi sui cellulari, si avvertono reciprocamente di cosa non fare o cosa fare e, paradossalmente cominciano a conoscersi fino a che il fenomeno non cessa. Qualcosa ha rotto il meccanismo, ci sarà un colpo di scena e poi ancora una corsa contro il tempo per salvare tutto, una possibile catastrofe e, forse magari, la possibilità di stare davvero insieme.

Non tutti gli anime per il cinema giapponesi riescono ad attraversare il pianeta ed arrivare da noi, i pochi che lo fanno solitamente o sono legati ad un nome altisonante, un franchise o un brand già di successo, oppure ci arrivano per meriti speciali. Your Name è stato un successo commerciale incredibile in patria, così tanto da guadagnarsi un biglietto anche per l’Italia, ma lo standard che propone è di molte volte inferiore a quello cui ci ha abituato l’animazione nipponica migliore. Non è una questione tecnica ma di immaginazione. La storia d’amore tra i due protagonisti ha nell’elemento fantastico l’unico punto distintivo, altrimenti sarebbe molto convenzionale, e anche nel suo piccolo (non c’è niente di male nelle storie convenzionali, a farle bene) non riesce mai ad andare oltre la riproposizione dell’epica romantica più esile.

Makoto Shinkai con crescente convinzione ingarbuglia la trama, sposta i tempi, trasporta i personaggi e si concede ogni genere di azzardo fantasioso senza la capacità di immaginarlo da zero ma solo frugando nel bagaglio del già fatto e aggiungendo pochissimo al noto. Il risultato è che Your Name non genera nemmeno un’immagine o un momento realmente memorabili, non riesce nell’obiettivo numero uno di qualsiasi lungometraggio d’animazione, cioè lavorare con le forme, gli ambienti, i colori e le luci in una maniera inedita o se non altro personale (nell’animazione non esiste niente a meno che non venga disegnato, e quindi immaginato, apposta) per colpire lo spettatore là dove non se l’aspetta.
Dire che Your Name annoia sarebbe limitante e fuorviante, perché la sua trama piena di gangli e grumi non è una novità, non è infrequente che il cinema giapponese, visto con i nostri occhi, abbia uno storytelling eccessivamente denso e convulso. No, il problema di Your Name è proprio che non fa un passo per elevarsi dallo statuto di piccolo filmetto adolescenziale, quando invece dimostra ambizioni da opera seria e completa.

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