Cosa ci faccia Valerio Mastandrea in questo specie di mash up tra la commedia italiana locale (quella dove le persone vivono piccole esistenze, strambe e lontano da tutto, autentiche e tenerissime nella loro marginalità) e il film di alieni della Disney degli anni ‘60, non è chiaro.
Tito E gli Alieni è una specie di avventura kitsch desertica che si comporta come un cartone animato, che fa fare “bip” ai computeroni che sembrano i robot di Il Pianeta Perduto, e li mette a confronto dei bambini napoletani svegli e vitali (indovinate chi vincerà?).
Sembra la consueta operazione di dissacrazione all’italiana, andare in America, nel deserto, a girare una contromitologia dell’Area51 e del rapporto con gli alieni, in cui tutto ciò che nel cinema americano è serio, qui è distrutto e dissacrato dall’arrivo dei bambini napoletani, nipoti dello scienziato Mastandrea che cerca di ascoltare le comunicazioni dall’universo ma non è capace di stare appresso a loro due, affidatigli dopo la morte del padre.
Alla fine il cuore e la tenerezza italiana (o meglio: napoletana) vinceranno sia sui militari americani ottusi che sulla scienza. Ma soprattutto sarà l’amore a trionfare.
Mastandrea è così fuori luogo in questo film che fa male, è così fuori posto in questa specie di brutto cartone animato con attori dal vero, fotografato con i colori molto saturi, da apparire come in un Purgatorio per qualche peccato commesso chissà quando.
In Tito E Gli Alieni infatti a fronte di una ricercatezza formale di facciata le parti di commedia si affidano ai localismi e alle battute in dialetto dei bambini in trasferta, i momenti sentimentali sono trattati con l’amore per il piccolo, delicato e fuori dagli schemi del cinema indie più banale statunitense e alla fine, il grande obiettivo finale, cioè l’elaborazione di un lutto per tutti (di morti nel passato dei personaggi ce ne sono a frotte) sarà occasione per un incontro ravvicinato di inventiva raccapricciante.
Nessun commento:
Posta un commento