Il campo del titolo è una campagna ignobile. Un luogo dall'inverno triste e squallido, colmo di animali pericolosi e brutti, costellato di giostre abbandonate, rotte e pericolose, una vegetazione non curata e fanghiglia a palate. In questo scenario nel quale si troverebbero bene Jason o Leatherface arriva una famiglia, uomo, donna e bambina piccola, trasferitisi dalla città in un casale fatiscente da rimettere in sesto (con ben poca voglia). Non verranno squartati, anzi si troveranno al centro di un dramma che vuole essere leggero e raffinato mentre riesce ad essere intrigante solo quando utilizza questi stereotipi da horror per cercare di parlare d'altro.
In maniera nemmeno troppo minuziosa e raffinata Belòn si mette a guardare come, lentamente, il paesaggio in cui i protagonisti sono inseriti influisca nella loro relazione, tenendosi lontano da metafore o analogie da Viaggio in Italia e molto più vicino ad indizi ed elementi concreti. Cioè il campo del titolo li mette effettivamente in pericolo, crea effettivamente momenti di difficoltà e provoca reazioni violente.
Non vola troppo alto insomma El campo, si tiene su un terreno concreto e alla fine diventa il racconto lineare di una coppia messa a dura prova e non una parabola universale su esseri umani nei cui rapporti influisce l'ambiente in cui vivono.
E per essere un racconto così lineare di fatti non eccessivamente interessanti dura decisamente troppo.
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