Buttato d'estate, mal titolato e abbandonato a se stesso The Big Year è in realtà una commedia interessantissima che, con più leggerezza e meno gravitas richiama temi e idee di L'arte di vincere, smontando il mito del vincente e contemporaneamente affermandone la grandezza.
Invece che utilizzare il sottobosco dei birdwatcher come scenario per la solita commedia sentimentale o per la non meno consueta parabola di solidarietà virile, David Frankel fa la scelta più impopolare di tutte per un racconto leggero: non far ridere.
Nonostante l'impiego di un numero molto alto di attori comici di peso (da Steve Martin a Jack Black passando per la voce narrante John Cleese), il film non si piega sui loro tempi comici ma ne usa il corpo plastico per narrare una storia di incredibile umanità mascherata da divertissement.
La storia si appoggia su tre protagonisti in lotta nell'etico e morale mondo dei birdwatcher per realizzare il record di uccelli avvistati in un anno. Ognuno è motivato da spinte diverse, ognuno ha esperienze e vissuti diversi ma tutti sono intenzionati a vincere.
E alla fine nonostante la parabola della trama sia delle più canoniche, lo stesso la sensazione e il mood che The Big Year riesce a creare camminano un passo avanti alla sua storia. Il contenuto afferma qualcosa, ma la forma filmica in cui esso è contenuto dice altro. Vediamo i personaggi raggiungere i propri obiettivi ma sappiamo che non per tutti è un lieto fine, vediamo una storia d'amore concludersi dopo difficoltà non comuni nel cinema statunitense (per tempistica e ordine) e la soddisfazione è maggiore del solito.
Con piccole variazioni e scelte che scardinano le consuetudini delle sceneggiature hollywoodiane, David Frankel è riuscito nell'obiettivo di ogni commedia: raccontare con leggerezza un mondo che leggero non è, riconsegnando senso a momenti e sequenze usurate, banalizzate e violentate dai commedifici.
Nessun commento:
Posta un commento