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26.11.12

Un mostro a Parigi (Un monstre a Paris, 2011)
di Bibo Bergeron

Se si dovesse trovare uno e un solo senso a questo cartone francese è il dimostrare come loro siano in grado di fare animazione seria e il resto d'Europa no. 
Un mostro a Parigi non è nulla di eccezionale, una favola che assembla tante cose già viste e raccontate, La Bella e la Bestia che incontra il Fantasma dell'Opera e finisce come King Kong, eppure il passo, i toni, l'uso del proprio universo nazionale di riferimento come arma d'esportazione (non come i nostri Gladiatori di Roma) e soprattutto l'animazione in sè, sono di primo livello.

Due corrieri nel consegnare un pacco in un laboratorio involontariamente versano due composti su una pulce. Uno la ingrandisce fino a poco più delle dimensioni di un uomo e l'altro gli dona una voce suadente e armoniosa. La pulce gigante è un mostro ma chiaramente ha il cuore d'oro, questo non gli impedirà di essere cacciata dalla polizia.
C'è anche un momento cinefilia spicciola all'inizio, quando le immagini riprese dalle prime forme di macchine da presa (utilizzate da uno dei protagonisti) si confondono con il racconto o quando la scoperta dell'esistenza del mostro avviene grazie allo studio fotogramma per fotogramma delle immagini impresse su pellicola, come fosse un Blow Up.

Bibo Bergeron del resto viene dal lavoro per gli studios americani e dalla direzione di Shark Tale (si, non propriamente il massimo ma il livello è comunque la serie A), e il team della Europa Corp. ha già portato in porto tre lungometraggi pseudo animati (la trilogia di Arthur e i Minimei). Il suo film gira dalle parti del Disney classico, distribuisce romanticismo d'altri tempi, umorismo slapstick e mai verbale, unito da canzoncine scritte appositamente per essere in armonia con il paesaggio primi novecento.
Fatto per affascinare e conquistare, pensato sul calco di mitologie eterne e già radicate nell'immaginario collettivo, lo stesso Un mostro a Parigi non ce l'ha fatta ad incassare a sufficienza per essere considerato un successo. Forse la dimostrazione migliore del fatto che quell'idea di animazione è totalmente superata. In Italia i doppiatori sono stati estratti a sorte da un bimbo biondo bendato che ha pescato numeri da una conca piena di palline che girano.

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