FUORI CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
Cinema deserti aprono il film, luoghi abbandonati, sale diroccate. Lo aprono e lo riempiono, dividono le giornate e compaiono a separare le scene. Sembrano dei canyon, posti grandi e desertici, polverosi e pieni di cose immobili, proiezioni fantasmatiche dell'assenza nelle vite dei protagonisti (forse dei canyon anch'esse), operatori nel settore del cinema che di fatto non fanno film, non li vanno a vedere e apertamente un po' se ne fregano di tutto ciò. Ma la trama è un'altra, il cinema non c'entra: tradimenti, ruoli invertiti, il sesso come tappabuchi e preambolo alla morte efferata. Insomma una storia di Bret Easton Ellis sul vuoto losangelino.
Nel riprendere continuamente cinema vuoti esiste un certo compiacimento nell'annunciare ufficialmente di non credere nella sala come luogo centrale della fruizione (come noto The canyons è stato finanziato online, promosso online e distribuito primariamente online), anche se poi il nuovo film di Paul Schrader gioca sui terreni più sicuri e pare fatto più per l'importanza di aver portato a termine una simile impresa "online first" che per una forte pulsione personale. Si intuisce dal riciclo di molte trovate tipiche del regista, dal ripasso di luoghi comuni del suo cinema e da un generale senso di fretta che non fa rima con improvvisazione o scelta di stile ma solo con sciatto.
E' impossibile dire come potrebbe essere The Canyons in una versione più elaborata e complessa (non più ricca), più volitiva e incazzata, più sincera e viscerale. Di certo sarebbe recitato meglio (gli attori non sono pessimi ma in più occasioni sembrano dare il minimo sindacale), sarebbe illuminato con un po' più di cura e magari ricerca e probabilmente conterrebbe molte più scelte audaci in grado di valorizzare quello che (si spera) Bret Easton Ellis aveva messo su carta.
Così è un filmetto che scatena madeleine riguardo quanto di bello i due autori hanno fatto in passato.
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