Tra le molte maniere in cui era possibile approcciare la storia di Lady Diana il film di Hirschbiegel sceglie quello dell'evento poco noto, l'unica parte "quasi" trascurata da quell'altro grande racconto che è stato fatto della sua vita, ovvero quello dei giornali dell'epoca. Cioè là dove fotografi e telegiornali non sono arrivati a narrare vuole arrivare il cinema, colmando uno degli ultimi buchi sulla vita (specie nell'ultimo periodo) della moglie del principe Carlo d'Inghilterra.
Per giustificare il racconto ovviamente Diana mette la storia d'amore con il medico pachistano al centro dell'universo, delle scelte e della parte più esposta della vita della principessa. Ciò che conosciamo di quei giorni della sua vita (l'impegno, le foto, i video e le interviste) ha tutto origina là, da quell'evento mai raccontato.
Hirschbiegel non è regista da rotocalco, nè banale esecutore e mette in Diana più dello stretto indispensabile, lavora assieme a Naomi Watts non tanto sulla somiglianza ("l'imitazione" arriva solo quando è indispensabile cioè quando serve di ricostruire i momenti e le immagini o i discorsi più famosi della principessa) quanto sulla recitazione tradizionale e si appoggia moltissimo sui generi del cinema.
Non è possibile dire quanto sia vero e quanto falso della storia (la produzione ovviamente afferma di aver creato solo le conversazioni private, mentre gli eventi si basano tutti sui racconti dei protagonisti), tuttavia l'impressione è che la scansione sia ricalcata sulla struttura dei melodrammi romantici classici.
Di tutte le scelte che si potevano fare per realizzare un film biografico su Lady Diana forse queste appaiono come le più sensate: mettere la lente su un fatto unico in un lasso di tempo breve e trattarlo come una storia classica, che poi è quello che fa quasi sempre il cinema, racconta un breve lasso di tempo nella vita di una o più persone. In questa maniera il reale diventa materia da cinema, si allontana dalla realtà per avvicinarsi al mito.
Il personaggio protagonista infatti è ancora meno plausibile e decisamente più mitologico di quanto non lo sia nella percezione comune, diventa il simbolo delle sofferenze d'amore che si fa ambasciatore della benevolenza senza riuscire a trovare conforto al proprio bisogno d'affetto. Dare come rimedio al non aver mai avuto. Diana sembra una donna in odor di santità come certi personaggi di Raffaello Matarazzo (che non a caso spesso finivano in convento), umanissima nelle proprie pulsioni, divina nel senso di sacrificio e nella prossimità ai più deboli.
Nessun commento:
Posta un commento