Vista la musica che oscilla tra charleston, dixieland e manouche, l'ambientazione anni '20 e il gusto di un certo umorismo sulla religione come sempre sarà piacere di molti misurare quanto Woody Allen sia stato all'altezza di Woody Allen, quanto cioè si sia dimostrato in linea con l'immagine che abbiamo dei suoi film o quanto se ne sia distanziato. Magic in the moonlight invece, nonostante i suoi dialoghi con entrambi i parlanti in campo, le sue prospettive con il punto di fuga fuori dallo schermo, le sue camminate e la passione per un certo tipo di spettacolo d'altri tempi è, ancora una volta, un nuovo approdo per Allen. Di certo non lontanissimo dal suo stile ma contemporaneamente pieno di novità.
Questa volta le coordinate visive e qualche sparuto dialogo sembrano davvero gli unici bastoni con cui puntellare il film a venire dal suo arsenale, per il resto la sostanza di questa commedia romantica affonda le radici in un bacino da cui raramente il regista ha pescato, quello delle prime commedie sofisticate del cinema americano. Attingendo sia da qualche tecnica di Lubitsch (la fissazione di alcuni personaggi con delle espressioni o dei luoghi che guidano il loro rapporto, l'uso ricorrente di alcune azioni come il battere che torna nel finale) che da una certa rilassatezza propria di Hawks e dalla sua frivolezza (la maniera in cui si risolve la "truffa" senza nessuna conseguenza).
Si ride a denti stretti, senza nessuna particolare esplosione, e ad interessare il film sono realmente più i meccanismi di attrazione e repulsione tra i due protagonisti, in cui (caso strano per la commedia di oggi ma frequente allora) è la parte femminile la prima ad avvicinarsi, studiare e circumnavigare il proprio innamorato, mentre l'uomo (più lento) arranca appresso al tema principale della storia: l'incapacità di comprendere i sentimenti per chi rifiuta di abbracciare i misteri della vita e la folle speranza infusa dal credere in ciò che non esiste. Chi sa stare al mondo e viverci con gioia è chi non si fa troppe domande su di esso.
C'è in Magic in the moonlight un aprioristico parteggiare con il lato femminile della storia che è rinfrancante. Senza dar addosso allo scettico illusionista smascheratore di truffatori, il film adora la finta maga dal primo momento che entra in scena con i suoi cappellini e vestitini leggeri e ogni cosa sembra esistere in sua funzione, ogni sua comparsa rischiara la scena. Lo scanzonato disimpegno e l'incurante tranquillità con cui guarda il mondo come una serie di meraviglie è usato per illuminare ogni momento, nella stessa maniera in cui il sole dallo sfondo ne illumina il cappello dandole una specie di aureola in una delle scene più belle di tutto questo film costruito da una leggerezza impalpabile.
Forse si trascina leggermente troppo a lungo, sorvola con superficialità molte situazioni svelandone la natura di puleggia per tirare la trama e forse esagera in didascalismo in dialoghi che spesso spiegano troppo (difetto stranissimo per Woody Allen!), lo stesso non se ne trovano in giro di film messi in scena con una simile fluidità e chiarezza d'intenti, così abili ed innamorati del proprio lavoro.
Un piacere che nessuno spettatore dovrebbe negarsi.
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