PANORAMA
BERLINALE
C'è un evento tragico (la scomparsa di un figlio) che ha separato i protagonisti di Chorus, li ha allontanati l'uno dall'altro confinandoli in zone remote e opposte logicamente (lei al freddo, lui al caldo), rintanandoli in passioni, musica, noia... Quasi un decennio dopo, un nuovo sviluppo nell'indagine li riavvicina riacuendo un dramma che, si capisce bene, il realtà non era mai stato sopito.Come nell'ultimo film di Wim Wenders (Every thing will be fine) anche qui il tempo non cura ogni ferita, anzi le fa macerare, e il suo scorrere (negato, perchè saltiamo direttamente ad "anni dopo la scomparsa"), non ha cambiato nulla. Chorus cerca di mettere i personaggi a contatto con il dolore più puro, vuole guardare cosa succede alle persone e studiarle mentre si forzano ad affrontare quello che già sanno li massacrerà. In questo il bianco e nero aiuta molto, crea un mondo rarefatto e impossibile, un luogo di eterno struggimento che non somiglia al nostro, a quello reale, uno in cui le opposizioni logiche in cui i due vivono sono ancora più acuite.
Tutto perfetto e inattaccabile ma anche molto distante dalla ruvida sapidità del cinema della perdita.
François Delisle lavora soprattutto con gli interpreti (Sébastien Ricard e Fanny Mallette), li sceglie particolarmente affiatati e fa in modo che dal loro nuovo incontro possa scaturire qualcosa di particolare. La chimica tra i due, non affettiva ma di dolore, sembra la componente principale di un film che forse indugia troppo prima di arrivare al proprio punto forte, prima di intavolare il discorso più importante.
Quando arriverà questo grande confronto e i genitori saranno davanti ai video che gli spettatori vedono all'inizio del film o quando dovranno incontrare un vecchio amico del figlio, saranno costretti ad uscire dal loro isolamento e affrontare la tragedia. A quel punto qualcosa si smuove ma forse è troppo tardi per gli spettatori.
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