Quando contengono le ambizioni, si concentrano su piccole storie e ammaestrano il sentimentalismo Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini sono una coppia d'autori d'oro. Purtroppo c'è un palla di metallo pesantissima attaccata al piede di Nessuno si salva da solo, che lo rallenta e lo affatica, impedendogli di prendere l'abbrivio che cerca ed esprimere al massimo il suo evidente potenziale. È l'esigenza di manifestare un atteggiamento intellettuale nei confronti della vita e dell'arte invece di lasciare che esso emerga spontaneamente dalle vicende dei protagonisti, sono le metafore e le allegorie in rima baciata, semplici e dirette, è l'abuso di scene madri che marcia contro una messa in scena invece molto moderna e rapida (e non era scontato aspettarselo da Castellitto!). In una parola la voglia di non girare "solo" un melodramma, quando girare un melodramma e basta può essere moltissimo.
In anni di dominio della commedie la coppia Castellitto/Mazzantini ha la forza di insistere sul tasto del melodramma aggiornato alla struttura di La vita di Adele (la storia di due persone dall'inizio con un occhio all'incredibile banalità del quotidiano ma i punti in comune con il film di Kechiche sono moltissimi). Archiviato il disastro di Venuto al mondo e l'esperimento di La bellezza del somaro, ritornano alle atmosfere di Non ti muovere con ancora più precisione e decisione. Questa volta la coppia di protagonisti è tutto il film, satura le inquadrature e la storia, ci sono solo loro, tutti gli altri sono figurine di sfondo, non importano niente, addirittura anche i figli (solitamente pezzi di cuore di indiscutibile protagonismo) sono privati di una presentazione, c'è un riappropriamento dello splendore del racconto sentimentale che è una vera benedizione. Nessuno si salva da solo non vuole essere un "film d'amore" ma trasforma una storia come altre di due persone come altre in un'epica del quotidiano. Nè lui nè lei hanno il beneficio di scene in cui sviluppare una propria personalità senza che questa non sia funzionale all'armonia o al contrasto con l'altra, per il film insomma i protagonisti non esistono se non in funzione l'uno dell'altra. È l'atteggiamento migliore e soffia vitalità e sincerità anche a momenti molto "scritti" come la conversazione su Mike Tyson, in cui si parla di qualcosa per intendere tutt'altro.
Su tutto questo impianto, già ottimo, Castellitto costruisce un piccolo universo di carnali esigenze che non trova sfogo solo nel sesso ma in tutto quel comparto gastrointestinale che orbita intorno al desiderio, alle funzioni corporali e alla bocca. Bocche, denti, nutrizioni, pastarelle consumate avidamente e un lungo fil rouge costituito da una cena (il "presente" del film) durante la quale si rievoca il passato per raccontare la storia dei due, Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca (perfetti e non era facile in un cinema in cui i nomi sono sempre gli stessi trovare una coppia inedita così affiatata e plausibile). Ancora una volta si sente l'eco di La vita di Adele in molti piccoli momenti in cui sembra non esista altro che il corpo. Forse proprio per questo però il film a tratti si impone di mostrare che i personaggi non sono solo carne ma anche testa, scavandosi alcune piccole fosse da sè.
Ogni qualvolta Nessuno si salva da solo tenta di spostare il racconto dalla pancia alla testa passa dal mirabile cinema italiano (quello che non racconta solo le persone ma tutto il mondo che li circonda in funzione loro, che non parla a me, spettatore, ma a noi, società) al dimenticabile cinema italiano (quello che sembra voler mettere in mostra le qualità degli autori più di quelle dei personaggi, quello che sembra fatto per fare un servizio agli attori invece che ai personaggi). A conclusione della serata i due protagonisti faranno una terribile e teatrale scena davanti ad una chiesa (in realtà la Galleria d'Arte Moderna) che sembra la summa perfetta di tutto ciò, le migliori idee rallentate dalle peggiori velleità.
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