C'è ancora una volta un cortometraggio dietro un film di Neill Blomkamp. Se il suo esordio, District 9, era tratto da un corto di 3 anni precedente intitolato Alive in Johannesburg (nel quale gettava le basi per l'idea di un gruppo di alieni trattenuti sulla Terra e trattati come minoranza etnica immigrata), dietro Humandroid c'è Tetra Vaal, cortometraggio girato in forma di trailer che risale addirittura al 2004. Dieci anni dopo il medesimo robot con le orecchie da coniglio di Tetra Vaal (dichiaratamente mutuato da Appleseed) è protagonista di un film che incrocia il principio di Robocop al mood di Corto Circuito.
Humadroid è fantascienza che predilige nettamente il fantastico allo scientifico, una che rifiuta ogni possibile base tecnica e plausibile per spalleggiarsi con il favolistico. Nel 2016 immaginato da Blomkamp la polizia sudafricana si appoggia ad un corpo di robot programmati per servire e proteggere e non per essere intelligenti. Sono macchine da guerra settate sulle regole d'ingaggio della polizia e così funzionano alla grande, come supporto e aiuto per agenti umani. Il suo creatore però vuole di più e sperimenta su un robot danneggiato una modifica alla loro coscienza dando vita ad una vera intelligenza artificiale. Il suo robot è tale quale ad un bambino, non solo non ha nozioni e deve imparare ogni cosa ma condivide con gli umani la sensibilità infantile, le paure e le suggestioni. Finito subito nelle mani sbagliate riceverà un'educazione mista tra affetto e violenza.
C'è più di uno scivolone in questo film di certo non preciso e inesorabile come District 9, non è una discesa nel punto di vista opposto ma una risalita nell'empireo dell'umanità da parte di una creatura che non avremmo detto potesse esserne dotata. Sembra che Blomkamp, pur ambientando e girando sempre in Sudafrica, si sia trasferito con la testa ad Hollywood, abbia cioè quietato lo spirito sovversivo che animava i suoi film precedenti preferendogli i più consueti conflitti da cinema di grande incasso e le tenerezze più bieche. Humandroid non punta più ad indignare quindi ma ad intenerire, forse commuovere, girando dalle parti del prevedibile. Anima il suo robot con tratti da cartone animato (alcune parti della testa che si muovono come le nostre sopracciglia e le orecchie che rivelano i sentimenti come nei cani) e, cosa più grave, scambia una società che tutta insieme funzionava da villain (non solo l'autorità ma anche le piccole mafie native e le persone comuni) con un più tradizionale cattivo dalle cattive intenzioni e cattivo carattere interpretato da Hugh Jackman.
Nel finale tuttavia accade (finalmente!) qualcosa di inusuale. In un ribaltamento che ricorda moltissimo la parte migliore di District 9 emerge il cuore di un film che ci ha messo quasi tutta la sua durata per scrollarsi di dosso il desiderio di andare incontro ai gusti del pubblico ad ogni costo.
Benchè con il suo corpo di metallo e testa di bambino il robot Chappie somigli a molti altri androidi dal cuore tenero, nel finale Humandroid ha il coraggio di sfruttare il genere cui appartiene e gli assunti di base della propria storia per dire qualcosa di più onesto con le immagini. Sappiamo bene che nella fantascienza robotica degli ultimi anni gli uomini non sono più il futuro dell'umanità, da Wall-E in poi ogni qualvolta lo spirito umano si scontra con la materia tecnologica l'esito è che la seconda emerge come l'unica parte davvero in grado di portare avanti il concetto di "umanità".
Come se la razza umana avesse trasferito ciò che la rende unica alle macchine e nel farlo se ne fosse privata, così Humandroid cerca per tutto il film di attuare questo trasferimento riuscendoci in extremis con un clamoroso colpo di coda. Meglio tardi che mai.
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