Che bello che poteva essere questo film di Paul Schrader se fosse stato tutto come il suo fulminante inizio. Se solo fosse proseguito come l’attacco in cui un Willem Dafoe strafatto siede in un salotto così rosa da sembrare un’allucinazione, guarda in tv un dibattito a favore della libera circolazione delle armi e risponde violentemente al telefono, mostrando tatuaggi iperbolici. Magari fosse stato un viaggio in una personalità al limite, alimentata dalle droghe, spinta in un mondo in cui le ossessioni sono così estreme da prendere la sostanza delle cose reali!
Purtroppo invece il film si rivela quasi subito molto più convenzionale, la storia di tre criminali appena usciti di prigione che l’esigenza di soldi spinge a fare un colpo difficile, il rapimento di un neonato per conto di un boss della mala. Il colpo finirà male, uccideranno proprio la persona che avrebbe dovuto pagare il riscatto e comincerà così una caccia all’uomo che tutti sanno non potrà mai finire bene.
Sembra un potenziale buon film di genere, ma non è il cinema di genere quel che interessa a Schrader. Da questa storia lui sembra più interessato alla maniera in cui il delirio prende realtà, il modo in cui le ossessioni sembrano materializzarsi date alcune condizioni estreme.
Dopo quei minuti iniziali già raccontati Dog Eat Dog, semplicemente, si perde in un lungo coacervo di dialoghi e scene confuse, annaspa in una mancanza di obiettivi concreti, non riuscendo a materializzare paure e idiosincrasie dei tre protagonisti. Come se Schrader si gettasse in una zona del cinema che non è quella in cui eccelle, come se non sapesse di essere in grado di trionfare solo quando a patto di muoversi intorno ai suoi temi e alle sue ossessioni, con personaggi malati di desiderio, sceglie di misurarsi con uno script raffazzonato e confuso che una messa in scena davvero creativa e interpreti perfetti non riescono a salvare.
22.5.16
Dog Eat Dog (id., 2016)
di Paul Schrader
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